martedì 29 settembre 2009

Libano: La ricostruzione di Nahr al Bared in un limbo

27 settembre 2009

Dalla fine di Agosto, nel campo profughi palestinese di Nahe al Bared, le macchine per la ricostruzione sono ferme. Il Consiglio di Stato Libanese si è concesso due mesi di moratoria sulla ricostruzione del campo distrutto.Nahr al-Bared, il più a nord dei 12 campi profughi palestinesi in Libano, è stato completamente distrutto durante una lunga battaglia estiva nel 2007.Nonostante il progetto pilota per la ricostruzione del campo sia pronto già dall’inizio del 2008 e approvato dal Governo Libanese, l’inizio dei lavori è stato rimandato di volta in volta. Quando nella primavera del 2009 è stato scoperto un sito archeologico sotto alle macerie del campo, quasi nessuno tra i profughi ha creduto alla notizia. Negli ultimi due anni, infatti si sono sentite troppe – spesso deboli – giustificazioni sui ripetuti ritardi della ricostruzione.Tuttavia, Ia scoperta archeologica, ha dimostrato di essere un fatto e il Direttorato Generale Libanese per le Antichità (DGA) è stato coinvolto. La soluzione è stata trovata assieme all’UNRWA (UN Works and Relief Agency for Palestine Refugees) e all’ufficio responsabile del Primo Ministro Libanese: Prima che il materiale venga caricato sui containers, le buche ricoperte di cemento e prima che vengano gettate le fondamenta, il DGA potrà scavare e documentare i ritrovamenti archeologici.Alla fine di Giugno, la maggior parte dei profughi non poteva credere ai propri occhi – i lavori di ricostruzione a Nahr al Bared erano finalmente iniziati. Il progetto pilota era partito con l’allestimento dei lavori che iniziarono con la Fase 1. In accordo con l’UNRWA, i lavori di riempimento degli scavi in questa Fase, dovevano terminare verso la fine di Agosto e i lavori di copertura con il cemento stavano quasi per cominciare, quando all’UNRWA è stato ordinato lo stop dei lavori da parte del Governo Libanese.Cos’era successo? Già in primavera il Leader del movimento d’opposizione "Free Patriotic Movement", Michel Aoun, aveva redatto un appello contro la decisione del governo relativa alla copertura degli scavi nel campo. Il 18 agosto, il Consiglio di Stato concedeva una moratoria provvisoria. Una decisione definitiva si attende per Ottobre.Il 31 Agosto, migliaia di abitanti di Nahr Al Bared hanno reagito al blocco dei lavori con una manifestazione di massa all’ingresso del cantiere di ricostruzione e proteste si sono tenute in vari campi profughi del Libano. Le critiche non erano rivolte solo allo stop dei lavori ma anche contro l’assedio che isola il campo, i suoi residenti e le attività commerciali dal mondo esterno. Il 16 settembre, i profughi hanno portato la protesta nelle strade della città di Tripoli, nel nord del Libano. La protesta ha visto anche la partecipazione di simpatizzanti libanesi.Rappresentanti del Comitato per la Ricostruzione di nahr Al Bared, accusano i politici libanesi di usare ancora una volta i ritrovamenti archeologici per guadagnare voti. Il Comitato punta a complementare il discorso chiedendo la trasformazione del sito archeologico in sito turistico.Negli ultimi due anni, le proteste degli abitanti si sono limitate a manifestazione non provocatorie e a semplici presidi. La precauzione è dovuta alla memoria ancora vivida sulla manifestazione della fine di Giugno del 2007, quando 3 manifestanti furono colpiti a morte da proiettili e molti altri rimasero feriti. In una conferenza stampa, gli attivisti di Nahr Al Bared hanno accennato al lancio di una serie di azioni di protesta non violente ma crescenti, tra le quali un importante boicottaggio dei permessi d’ingresso rilasciati e controllati dall’ Esercito Libanese.Ray Smit è un attivista del collettivo mediatico anarchico a-films. Il collettivo ha lavorato a Nahr al Bared durante gli ultimi due anni e ha girato circa una dozzina di cortometraggi su campo pubblicati sul suo sito: website. Author : Ray Smith *

sabato 26 settembre 2009

RILASCIARNE UNO E " DIMENTICARNE UNDICIMILA"

Giovedì 17 settembre è stata consegnata questa lettera aperta al Presidente del Senato ed ai senatori presenti, tutti gli altri l'hanno poi ricevuta con il servizio postale .

I movimenti, le associazioni e le persone che condividono questo appello possono sottoscriverlo inviando una mail a: presidente@perilbenecomune.net

oppure scrivendo a: Per il Bene Comune, Piaz.le Stazione 15, 44100 Ferrara – tel./fax. 0532.52.148
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La lettera inviata ai senatori:

Signor Presidente del Senato, Signori Senatori della Repubblica,

abbiamo registrato con sorpresa la notizia che il Senato ha approvato una risoluzione che chiede il rilascio di un soldato di Israele, catturato mentre partecipava ad una operazione militare ordinata per “perlustrare” un villaggio della striscia di Gaza.

Sorprende che tale presa di posizione non abbia nemmeno accennato agli oltre 11.000 (undicimila) palestinesi rapiti e illegalmente imprigionati dall’esercito e dalle autorità d’occupazione israeliane, ben sapendo che tra queste ci sono anche il Presidente della Assemblea Nazionale (Parlamento) e oltre cinquanta sindaci e dirigenti politici palestinesi, tra cui 21 parlamentari.

Confidando sulla adesione del Senato della Repubblica alla Carta Universale dei diritti dell’Uomo e sull’indipendenza sua e degli attuali senatori dalle pressioni della lobby filo sionista, noi facciamo appello a lei ed a tutti i senatori affinché venga posto un rimedio a tale “dimenticanza”, assumendo una posizione più giusta, equilibrata e dignitosa, in cui venga chiesto alle autorità civili e militari di Israele:

di rispettare le 72 (settantadue) risoluzioni e le deliberazioni dell’ONU sin qui ignorate;

di porre fine alla occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina e del Golan;

di liberare i colleghi parlamentari palestinesi che sono stati rapiti;

di liberare tutti i prigionieri da anni in carcere senza processo e colpevoli unicamente di non gradire l’occupazione militare della propria terra;

di fare piena luce sul traffico d’organi che avviene dopo le morti “accidentali” dei prigionieri.

Fernando Rossi
Senatore della XV Legislatura
Lista Civica Nazionale Per il Bene Comune

Visita il sito: www.perilbenecomune.net

mercoledì 23 settembre 2009

“Dopo la pubblicazione del rapporto dell’ Onuper i fatti avvenuti a Gaza: Israele al Tribunale per i crimini di guerra!”

22 settembre


pubblicazione del rapporto dell’Onu per l’accertamento dei fatti sul conflitto di Gaza è un passo importante, a condizione che abbia un seguito. Esso è importante anzitutto per la sicurezza pubblica internazionale: durante i due decenni del predominio dei neo-conservatori negli Stati Uniti, abbiamo assistito agli sforzi congiunti della casa Bianca e di Israele per vanificare le norme del diritto internazionale. Possiamo ricordare lo stupido commento di George W. Bush: egli, nella cornice della guerra globale al terrorismo sostenne che era essenziale annullare le limitazioni poste ai combattenti dalla Convenzione di Ginevra.E Israele, già nei primi anni ’70 aveva deciso che la Quarta Convenzione di Ginevra non era applicabile nei Territori Occupati.Il rapporto, e prima di questo il parere consultivo della Corte Internazionale sulle Conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, ricorda al mondo che la lezione dell’epoca nazista non è stata dimenticata e che il mondo non è una giungla in cui predomina la forza, ma una comunità civilizzata che si sforza di agire secondo le leggi internazionali che proteggono i fondamentali diritti degli esseri umani. E per coloro che obiettano, giustamente, che queste norme internazionali sono violate ogni giorno dalla maggioranza dei Paesi del mondo, noi dobbiamo rispondere che è meglio che ci siano norme e leggi che proteggono i più deboli, anche se non sono generalmente rispettate, che vivere in una società senza leggi che permette al più forte di fare ciò che vuole.Le risposte dei leader israeliani erano prevedibili: "rapporto prevenuto" " approccio unilaterale", e " noi abbiamo sempre saputo che Goldstone è antisemita…. o un Ebreo che odia se stesso".A capo di questa campagna sta, e non poteva essere altrimenti, Ehud Barak, che ha dichiarato che "questo rapporto non solo premia il terrorismo, ma addirittura lo incoraggia" . Barak ha aggiunto che il Ministro della Difesa assicurerà la consulenza legale a quegli ufficiali contro i quali fossero avviati procedimenti legali.In base ai regolamenti della legge internazionale si suppone che le conclusioni del rapporto saranno ora discusse nel Consiglio per i Diritti Umani e poi nel Consiglio di Sicurezza, che potrebbe poi trasferirle alla Corte Internazionale dell’Aja o a una Corte internazionale speciale, cosicché coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra possano essere processati e se ritenuti colpevoli condannati a stare dietro le sbarre per molti anni. In ogni modo, questa stessa legge internazionale ha previsto dei privilegi per le grandi potenze, cioè il potere di veto.La diplomazia israeliana concentrerà immediatamente i propri sforzi nel convincere alcune di queste potenze a porre il veto e togliere Israele dai guai. E soprattutto farà pressioni sulla casa Bianca.Così è arrivata la vera prova per Barack Obama : nessuna dichiarazione su "la pace entro due anni" e "il diritto dei palestinesi a uno stato", ma al momento una trattativa con politiche concrete che contraddicono i valori che egli sostiene e con chiare esortazioni a adire alle vie legali.Barack deciderà se al sistema delle leggi internazionali sarà permesso di fare ciò che ci si aspetta da esse . Con mio dispiacere, io scommetto che lui starà con Israele, cioè, che gli Stati Uniti useranno il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Comunque, il veto americano non porrà fine alla storia: numerosi Paesi nel mondo hanno adottato leggi che permettono loro di giudicare persone accusate di crimini di guerra contro l’umanità.Sta a noi, donne e uomini, in Israele e all’estero, che temono per la sicurezza pubblica internazionale e le leggi internazionali, il compito di unire le forze per porre a questi criminali di guerra il dilemma: rischiare di essere processati se vengono trovati in paesi il cui la legge lo permette, o rimanere chiusi in Israele, abbandonando l’idea di fare turismo in Spagna o un anno sabbatico nel Regno Unito.Come è accaduto al precedente comandante delle forze aeree israeliane che è stato costretto a rimanere dentro l’aereo all’aeroporto di Londra, quando seppe dell’ordine di detenzione che lo aspettava se avesse messo piede in Gran Bretagna.La creazione di un "Osservatorio sui crimini di guerra israeliani" può essere uno dei contributi della società civile per dar seguito al rapporto dell’ ONU , in aggiunta alla raccolta del rilevante materiale e delle testimonianze sulle azioni militari di Israele a Gaza , e al monitoraggio dei movimenti di coloro che sono sospettati di crimini di guerra.

lunedì 21 settembre 2009

Sono oltre 8mila i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, rapporto

18 settembre 2009Attualmente il numero di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane si aggira attorno alle 8200 unità, di cui 51 donne e 326 minorenni. 398 sono i prigionieri sottoposti a detenzione amministrativa e 2151 quelli in arresto temporaneo, perché in attesa di processo.È quanto emerge da un rapporto elaborato dal ministero per gli Affari dei detenuti del governo palestinese, ripreso in questi giorni dal quotidiano panarabo Dar al-Hayat.Gli oltre ottomila palestinesi – afferma il rapporto - sono reclusi in una ventina di prigioni e centri di detenzione, dove vivono in "condizioni disumane".La detenzione non ha limiti in termini di sesso ed età, ma riguarda indistintamente uomini e donne, anziani e bambini. "Dal 1976 a oggi – si legge nel documento - le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 750mila palestinesi; tra questi 12mila donne e decine di migliaia di bambini".Arrivando a tempi più recenti, il rapporto afferma che "dall’inizio dell’intifada di al-Aqsa, il 28 settembre 2000, gli arresti sono stati 69mila, tra cui 800 donne e 7.800 bambini. […] 197 prigionieri sono deceduti in carcere per negligenza medica, torture, assassinio premeditato, o perché percossi o feriti nei carceri di isolamento".

venerdì 18 settembre 2009

Un’infrastruttura di terrorismo ebraico





Durante alcuni dei mesi trascorsi, la questione delle colonie è stata al primo posto dell’ordine del giorno generale, con la scena politica israeliana in fermento di fronte ai colloqui tra il governo israeliano e l’inviato dell’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Barak Obama per un "congelamento" dei lavori di costruzione nelle colonie della West Bank e a Gerusalemme Est. Al tempo stesso, membri della Knesset hanno fatto il giro degli avamposti e delle colonie della West Bank, rilasciando dichiarazioni sulla legalità o illegalità dei luoghi da loro visitati.In vista dell’intensa discussione in corso, sia a livello locale che a livello internazionale, è importante ricordare che la questione della "legalità" delle colonie non è semplicemente un labile tecnicismo che può essere risolto con un tratto di penna. Intanto, secondo il diritto internazionale tutti gli avamposti e le colonie nella West Bank sono illegali. Ma perfino la legislazione israeliana nella sua visione più basilare, vieta alcune delle iniziative che sono state messe in atto per "legalizzare" queste comunità. La confisca delle terre palestinesi è un problema cruciale, quello che mette in evidenza la contraddizione di Israele che sostiene di essere uno stato che opera nel rispetto delle norme del diritto, che rispetta i diritti individuali e protegge il debole dalla violenza dello sfruttamento.Fin dal primo inizio dell’impresa della colonizzazione, più di quarant’anni fa, Israele ha espropriato le terre della West Bank secondo un metodo ben progettato, sistematico e violento. Le vittime di questo meccanismo perdono i loro campi coltivati ed in tal modo anche la possibilità di condurre una vita normale. La loro fonte di reddito è compromessa, tanto da portare spesso alla diffusione di povertà e stenti.Le operazioni in corso negli ultimi dieci anni, ad esempio, con le quali i coloni di Eli, a nord di Ramallah, hanno preso possesso di un certo numero di colline che circondano il nucleo coloniale originario, hanno compromesso seriamente la facoltà dei palestinesi dei villaggi vicini di Qaryut, Luban al-Sharqiyah e Al-Sawiyah di poter raggiungere le migliaia di dunum di terreno dei quali essi sono proprietari e dai quali dipendono per la loro sussistenza. Persino laddove hanno ancora una sia pur minima possibilità di accesso (solitamente per due o tre giorni all’anno, nel periodo della raccolta delle olive) i loro prodotti vengono rovinati, i contadini vengono aggrediti fisicamente ed essi sono semplicemente impossibilitati ad occuparsi in maniera adeguata dei loro raccolti.Contrariamente all’impressione creata in Israele dalle cronache riportate dai mezzi di informazione, questi incidenti che si verificano solo nei dintorni delle colonie che hanno la reputazione di essere particolarmente radicali o estremiste, non sono isolati e non correlati tra loro. Piuttosto, si tratta di una campagna ben coordinata, che si svolge contemporaneamente in tutta la West Bank, da Hebron, nel sud, a Nablus, nel nord. Se si guarda una mappa di tutti i luoghi dove sono avvenuti incidenti di questo tipo, diventa evidente la strategia generale: il trasferimento dei palestinesi che vi sono rimasti dall’Area C (com’è stata definita dagli accordi di Oslo), la quale costituisce il 60% della West Bank e che è sotto il controllo totale di Israele.In anni recenti, volontari di Yesh Din hanno raccolto le testimonianze rilasciate da dozzine di palestinesi ai quali è stato impedito di poter raggiungere i loro terreni prossimi ad alcune colonie ed avamposti con mezzi diversi dalla sola barriera di separazione.

Le loro relazioni fanno vedere che in molte occasioni i contadini palestinesi sono cacciati fuori di forza. In altri casi, essi possono farcela a raggiungere le loro coltivazioni incolumi, solo per scoprire che i loro raccolti sono stati incendiati, estirpati o danneggiati in qualche altro modo dai coloni.Questi soprusi possono non rappresentare la politica ufficiale di Israele, ma lo stato fa poco per impedirli. Nella smisurata maggioranza dei casi nei quali le vittime di violenze hanno sporto denuncie, la polizia – che, dopo tutto, in molti casi è costituita da israeliani ebrei i quali, talvolta, sono essi stessi residenti di colonie – chiude i casi senza aver emesso incriminazioni e, in molti casi, perfino senza aver condotto indagini accurate ed esaustive. Ciò porta a un’ovvia conclusione: la confisca sistematica delle terre e le violazioni della legge si verificano perché le autorità legali si voltano dall’altra parte e permettono che incidenti di questo tipo accadano.Il problema comincia con i soldati sul campo, che non trattengono i criminali violenti, e termina con l’azione giudiziaria della polizia e dello stato che non sono capaci di applicare tutta la forza della legge per reprimere i colpevoli.Nella West Bank, si sta creando una infrastruttura di terrorismo ebraico. Tramite una politica che loro hanno soprannominato dello "scontrino del prezzo", i coloni hanno dichiarato di aver l’intenzione di aggredire palestinesi innocenti in risposta alla percezione di una qualsiasi minaccia nei confronti di una colonia o di un avamposto, sia essa verbale o fisica. Tutto ciò rappresenta solo la conclusione estrema, aneddotica e intransigente, di questa infrastruttura. Praticando l’intimidazione e le sistematiche violazioni della legge, il fine ultimo dei coloni che applicano questa politica consiste nell’usurpare terra sempre di più. A sua volta, questo danneggia la sussistenza, la proprietà e il benessere di decine di migliaia di palestinesi.Quei difensori del movimento dei coloni che sostengono che, in una democrazia, gli ebrei dovrebbero poter vivere in ogni luogo della Terra d’Israele, non riescono a riconoscere che lo stato sta permettendo che si sbriciolino i principi fondamentali della democrazia con il metterli nelle mani di violenti integralisti. Si dovrebbe implementare la difesa della proprietà privata, in quanto norma assoluta e quindi non relativa, senza piegarsi a favorire l’usurpazione delle terra da parte di gangster.Roi Maor è direttore generale di Yesh Din: Volontari per i Diritti UmaniDror Etkes è direttore del Progetto Terre di Yesh Din

IL MASSACRO DEI CIVILI MUSUMANI è SEMPRE AUTODIFESA, NON è MAI TERRORISMO

L’asse anglo-americano-israeliano continua a gabellare attraverso tutti i suoi mezzi di informazione l’assassinio dei civili musulmani come derivante da autodifesa. Qualsiasi osservatore imparziale che abbia visto i massacri in Irak, nel Libano, e ora a Gaza, giungerebbe a ben diverse conclusioni, perché chi siano quelli che vengono terrorizzati e massacrati risulta ovvio. È naturale che le orrende immagini di Gaza abbiano fatto scendere per strada in tutto il mondo folle di gente che protestava, cosa senza precedenti nella nostra storia recente.
Ma è disgustoso vedere come i commentatori filo-israeliani abbiano la 'chutzpah' [sfacciataggine, in ebraico] di sostenere che Israele abbia il più elevato livello morale proprio mentre nei campi di concentramento di Gaza essa sta commettendo assassinii di massa. E l’autentica barbarie mostrata da Israele ha il pieno appoggio dei governi americano e britannico. La maggior parte degli israeliani non prova alcun rimorso nell’uccidere dei 'gentili’. Negli Stati Uniti si possono vedere degli ebrei filo-israeliani che festeggiano i bagni di sangue, ma della barbarie israeliana tratterò più tardi in dettaglio. Vi è anche una tacita approvazione di questo massacri da parte di alcuni regimi arabi, stando al loro silenzio e alla loro inerzia.
Come esempio di vera democrazia, Israele e gli Stati Uniti ignorano completamente tanto le proteste di massa, quanto la Risoluzione 1860 emessa [l’8 Gennaio 2009] dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite ["immediata e durevole cessazione del fuoco a Gaza e ritiro totale delle forze israeliane, libera fornitura di cibo, combustibile e assistenza sanitaria, accordi internazionali contro il contrabbando di armi e munizioni…"], la quale riflette l’opinione della grande maggioranza della popolazione mondiale. Infatti il voto fu unanime: 142 a favore, 4 contro, e 8 astensioni. Cosicché le democrazie avrebbero costituito il Consiglio di Sicurezza per dar modo alle Nazioni Unite di agire nell’interesse di questa minuscola minoranza!
Il presidente dell’assemblea, il nicaraguegno Miguel d'Escoto Brockmann, così si espresse :
"Le violazioni del diritto internazionale in merito all’attacco di Gaza sono state ben documentate: punizione collettiva; uso sproporzionato di forza militare; attacco a bersagli civili, fra cui case, moschee, università e scuole."
Egli mise anche in rilievo la natura ingrata dello stato ebraico col dire:
"Trovo ironico che Israele, uno stato che più di ogni altro deve la sua stessa esistenza ad una Risoluzione della Assemblea Generale (1948) disprezzi poi tanto le Risoluzioni delle Nazioni Unite… "
Sul fatto che Israele abbia commesso a Gaza dei crimini di guerra vi è consenso generale e vi furono richieste di ulteriore investigazione. Se solo una piccola parte di questi crimini fosse stata commessa da un paese musulmano, sarebbero subito stati mandati ad eseguire bombardamenti i soldati degli Stati Uniti, e non i caschi blu delle Nazioni Unite.
Israele sa che il mondo sta diventando insensibile allo spargimento di sangue musulmano, perché è facile giustificare delle uccisioni su scala di massa quando una popolazione è stata precedentemente demonizzata. Ciò suona familiare; infatti è la stessa tattica usata dai Nazisti. Le loro vittime hanno imparato bene la lezione dalla esperienza del loro olocausto! Infatti, la faccenda di spacciare e sfruttare l’olocausto continua fino ad oggi
In Palestina non c’è petrolio: vi è soltanto olio d’oliva, e questo spiega perché l’organizzazione pilotata dagli Stati Uniti denominata Nazioni Unite è paralizzata. Va ricordato che già nel 1991 la cosiddetta comunità mondiale della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti si mosse per salvare i 'poveri’ kuwaitiani da Saddam Hussein, come se si trattasse di una crociata morale per far trionfare la giustizia e il diritto internazionale, senza avere a che vedere col petrolio.
I sionisti eccellono non soltanto nell’ammazzare uomini e bambini indifesi, ma anche nella propaganda a ciò relativa. Essi dispongono in abbondanza di soldi, influenza, e risorse, con l’ulteriore vantaggio di sapere che gli arabi useranno il loro danaro del petrolio solo per costruire più centri commerciali per comodo di compagnie sioniste come la Starbucks, la Marks e la Spencer.
Nella loro propaganda i sionisti ripetono frequentemente alcuni punti, senza troppo badare a loro valore effettivo , trattandosi di un uditorio di così scarsa qualità come le masse docili e ignoranti degli Stati Uniti. I punti che la propaganda dei sionisti va continuamente diffondendo, e che i mezzi di informazione amplificano, sono i seguenti:
a) Ripetono continuamente che Hamas è un’organizzazione terrorista e non un corpo democraticamente eletto. L’etichetta di terrorista viene applicata senza considerare chi venga effettivamente terrorizzato e massacrato. La 'logica’ sottintesa è che le armi di Hamas spargono il terrore, ma quelle americano-israeliane no! In realtà sono però Hamas e i palestinesi che dal 1948 vengono terrorizzati e massacrati. Ecco l’ironia: Hamas, che difende le loro case, è considerata terrorista, e gli ebrei di importazione che si sono 'sistemati’ su terre rubate, sono vittime innocenti.
b) Per contrapposto, Israele non è minimamente uno stato terrorista, quali che siano il terrore e le carneficine che essa causa e quante donne e quanti bambini ammazzi. Al contrario, in occidente Israele viene spesso esaltata come 'la unica democrazia del Medio Oriente’, nonostante che abbia le evidenti caratteristiche di uno stato a discriminazione razziale. Ciò implica che gli arabi sono troppo incivili per essere democratici.
c) Hamas viene descritta come un aggressore belligerante per aver lanciato 'migliaia di missili micidiali’. In realtà si tratta di qualche missile di fabbricazione domestica che fece un numero di vittime irrisorio in paragone con quanto avviene a Gaza. Fa quindi comodo parlare di 'migliaia di missili lanciati da Gaza’, perché sarebbe troppo imbarazzante giustificare l’uccisione di mille palestinesi contro quella di una manciata di ebrei, specialmente da parte di una nazione che sostiene il noto principio etico 'occhio per occhio – dente per dente’.
d) Come al solito, è il 'debole’ e 'vulnerabile’ Israele che si difende, come gli Stati Uniti si difendevano dal poderoso Saddam Hussein armato delle sue 'Armi di Distruzione di Massa’! Del continuo assedio imposto da Israele su Gaza e della rottura della tregua a Novembre non si fa parola. La storia comincia - opportunamente - mostrando Israele come una vittima innocente che agisce per autodifesa. Secondo il senso comune, autodifesa significa respingere un nemico che avanza, cioè che la minaccia è vera e operante, e non i pochi razzi fatti in casa che Hamas lanciò per rappresaglia contro il persistente asservimento dei palestinesi.
e) La pretesa fantastica più recente è che Hamas ha detto che è lì per uccidere ogni ebreo, e qui entra in ballo di nuovo lo sfruttamento del famoso 'olocausto’: Israele si troverebbe ancora una volta di fronte alla minaccia di un totale annientamento. Ammesso pure che Hamas lo abbia detto, non è questo un risultato della barbarie israeliana? Israele deve ricordare che un giorno le vittime di Gaza potranno essere vendicate, e con una punizione collettiva.
L’entità sionista ha mostrato la sua barbarie prima a Sabra e a Shatila, a Qana e a Jenin. A Gaza essa ha fatto un passo avanti, e non si tratta solo dell’uccisione di civili innocenti. In un’intervista sul Canale 4 venne chiesto a Mark Regev, il portavoce del Primo Ministro di Israele, perché le Forze di Difesa Israeliane avevano impedito per tre giorni alla Croce Rossa di raggiungere a Gaza i morti e i feriti civili. Gli venne anche chiesto, specificamente, perché era stato negato l’aiuto della Croce Rossa ai bambini morenti di fame che aspettavano un po’ di cibo accanto ai cadaveri delle loro mamme, cosa della quale nella propaganda non si parla. Al personale della Croce Rossa venne alfine concesso di recarsi, a piedi, presso le vittime distanti un miglio. Un simile comportamento è disgustoso da parte di persone che agitano continuamente la bandiera dell’olocausto e gridano di essere state delle vittime. Se pure è vero che abbiano sofferto tanto, dovrebbero almeno comportarsi come esseri umani, e non come delle bestie.

Per non dimenticare Sabra e Chatila!




I Massacri di Sabra e Shatila15 settembre 2009Ventisette anni fa, tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo di Palestina ed il mondo intero, furono colpiti da un orrendo crimine: i sanguinosi massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in Libano.A Sabra e Shatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre. Furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut. Noi ora leviamo le nostre voci in onore di quei nostri martiri che morirono lottando per la nostra libertà nei campi di Sabra e Shatila e per la loro continua dedizione per la giustizia e la libertà.Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa ed oggi primo ministro dello stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi. A questo punto, Sharon ha ordinato l’entrata a Sabra e Shatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti, e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano. Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, che continua tutt’oggi il suo brutale massacro di Palestinesi.Le radici del massacro di Sabra e Shatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione della nostra terra.

I Palestinesi furono costretti a riparare in campi profughi sparsi in tutta la nazione Araba, gli furono negati i loro diritti e la loro identità, e furono le vittime designate dello sterminio di una nazioneDal 1948, i Palestinesi sono stati dappertutto oggetto di attacchi alle loro vite, ai loro diritti e vivono sotto costanti e barbare aggressioni; i crimini di guerra ed il massacro di Sabra e Shatila è solo uno dei più terribili esempi.Comunque, i massacri non sono finiti il 18 settembre 1982; non si sono mai fermati e continuano tutt’oggi. Ed i crimini continueranno fino a che non verrà realizzata la vera giustizia e la liberazione per tutti i rifugiati palestinesi con il riconoscimento del diritto a ritornare nelle proprie case e terre, e finché non verranno realizzati i diritti alla liberazione nazionale, alla sovranità e all’autodeterminazione.L’unica difesa per i rifugiati palestinesi è l’esercizio del loro fondamentale diritto al ritorno. Le migliaia di assassinati nei campi di Sabra e Shatila sono morti lottando per quel diritto, e quello è un diritto che ancora oggi è vitale e fondamentale per i Palestinesi.Sì, il sangue ed il massacro di Sabra e Shatila sono i crimini di Ariel Sharon; ma rappresentano di più di un crimine di un solo individuo.Sono i crimini del Sionismo, i crimini dell’entità Sionista ed i crimini del progetto Sionista basato sull’espulsione e lo sterminio del popolo palestinese. Quindi nello stesso momento in cui Ariel Sharon è un criminale di guerra, lo sono anche Ehud Barak, Benjamin Netanyahu, Shimon Peers, Yitzhak Rabin, Yitzhak Shamir, Menachem Begin, Golda Meir, ed ogni altra persona coinvolta in quel progetto razzista di sterminio ed oppressione. La sola esistenza dell’entità Sionista in Palestina è un crimine di guerra; è basata sul massacro continuo e sull’espropriazione dei Palestinesi, la rapina e lo sfruttamento continuo delle loro risorse, e la colonizzazione continua della loro terra.Inoltre, i crimini del Sionismo, in quanto progetto di insediamento coloniale, fanno parte dei crimini commessi dall’imperialismo degli Stati Uniti nella nazione Araba ed in tutto il mondo. Così come i Sionisti ed i loro seguaci devastarono Sabra e Shatila, gli Stati Uniti ed i suoi seguaci hanno devastato Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Angola, Mozambico, Cambogia e molte altre nazioni – nel loro piano di conquista di potere, controllo e risorse.L’invasione Sionista del Libano ebbe la piena approvazione ed appoggio degli USA; oggi, l’entità Sionista riceve miliardi di dollari ogni anno dal governo degli USA, e continua la sua aggressione furiosa contro il popolo palestinese col patrocinio dell’imperialismo USA. Nello stesso tempo gli Stati Uniti occupano, opprimono e terrorizzano il popolo dell’Iraq, Afghanistan, Haiti, Colombia, Filippine e numerosi altri nel mondo. La brutalità ed i crimini del colonialismo Sionista e dell’imperialismo degli Stati Uniti non possono e non dovrebbero essere separati l’uno dall’altro da chi lotta contro quei crimini.Noi stiamo lottando per la giustizia e la liberazione contro l’enorme brutalità del progetto coloniale Sionista, testimoniata a Sabra e Shatila e a Deir Yassin; a Safsaf, Lydda, Tantura e Kufr Qasem; a Qibya, Qana, Jenin, Nablus, Rafah ed in tutta la Palestina occupata. Noi ci stiamo adoperando per assicurare che crimini come quelli di Sabra e Shatila e i crimini del 1948, e tutti quelli prima, dopo e durante, non colpiscano più la nostra gente e la nostra terra; e che tutti i rifugiati palestinesi ottengano il loro pieno, incondizionato e non negoziabile diritto al ritorno alle loro case e terre d’origine.Per ottenere la giustizia, la vittoria, la liberazione ed il ritorno, per noi è imperativo che l’unità nazionale del popolo palestinese, della sua leadership e delle sue istituzioni sia rafforzata e sviluppata. Noi abbiamo bisogno di un comando nazionale unificato, che coinvolga tutte le forze, le organizzazioni e le istituzioni Nazionali ed Islamiche di tutta la Palestina; e di rianimare la struttura dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – dentro e fuori la Palestina – su una base democratica che comporta la rappresentanza per ogni Palestinese.Noi guardiamo indietro con memoria ed orgoglio. Noi guardiamo avanti con costanza, sicurezza e impegno per resistere ai crimini Sionisti, per lottare per il ritorno di tutti i nostri rifugiati e per la liberazione della nostra terra.






Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – FPLP