giovedì 15 ottobre 2009
Testimonianze di soldati dall’operazione Piombo fuso, Gaza 2009
Breaking the silence è un’organizzazione di veterani che hanno servito nell’esercito israeliano durante la Seconda Intifada (dal settembre del 2000) e si sono assunti la responsabilità di raccontare al popolo israeliano le situazioni di routine della vita quotidiana nei Territori Occupati, una realtà che non è presente nei media.
Sull’operazione Piombo fuso hanno raccolto una serie di testimonianze in una pubblicazione che si trova qui. Ne ho selezionato dei pezzi, ma andrebbe tradotta integralmente.
Scudi umani 1
Qualche volta l’unità entra mettendo le canne dei fucili sulla spalla di un civile, avanzando nella casa e usandolo come scudo umano. I comandanti hanno detto che queste erano le istruzioni e noi dovevamo farlo…
Scudi umani 2
Erano usati come Johnnies (in un altro punto dell’intervista il testimone ha descritto la procedura Johnny, l’uso di civili palestinesi come scudi umani durante le perquisizioni delle case) e poi rilasciati, e li ritrovavamo in perquisizioni successive.
Fosforo bianco 1
Che cos’era la storia dell’uso di bombe di mortaio al fosforo bianco?
Il comandante della compagnia dà al comandante del plotone che ha il mortaio un obiettivo e gli ordina di fare fuoco.
Che cosa c’era, lo sa?
Un obiettivo. Li definiscono obiettivi. Non so veramente dire cosa fosse. Qualche volta si sentiva alla radio: "Via libera, fosforo nell’aria". Tutto qua. Non mi ricordo se venisse confermato dal comandante della compagnia, ma so anche di un ufficiale che sparò senza chiedere l’autorizzazione.
Perché sparare fosforo?
Perché è divertente. Fantastico.
Professionalmente avete del fosforo da usare contro queste minacce?
Non so a quale scopo sia usato. Ne stavo proprio parlando ieri. Non capisco come queste munizioni siano tra i nostri rifornimenti se poi non dobbiamo usarle. È ridicolo.
Fosforo bianco 2
Poi siamo ritornati a nord, a circa 500 metri dal recinto, e siamo rimasti là di guardia tutta la notte. Non abbiamo visto niente di speciale. Il giorno dopo siamo tornati alla base per prendere nuovi ordini della missione e siamo stati di nuovo assegnati ad un’unità del battaglione *** con cui siamo entrati. Abbiamo camminato con loro sulla spiaggia e abbiamo visto tutte le bombe al fosforo bianco di cui le ho detto, abbiamo visto vetri sulla sabbia.
Può descriverlo? Che cosa ha visto?
Cammini lungo la sabbia e senti questo scricchiolio di qualcosa che viene frantumato. Abbiamo guardato per terra e abbiamo visto delle cose che sembravano frammenti di migliaia di bottiglie di vetro rotte.
Che colore avevano?
Marrone sporco.
Ne ha visto dei resti da altre parti nelle vicinanze?
C’era un’area di circa 200-300 metri quadrati di sabbia vetrosa come quella. Abbiamo capito che veniva dal fosforo bianco ed è stato sconvolgente.
Perché?
Perché durante l’addestramento si impara che il fosforo bianco non si usa, e si impara che non è umano. Si vedono dei film e si vede quello che fa alla gente che ne è colpita, e ti dici "Ecco, è quello che stiamo facendo". Non è quello che mi aspettavo di vedere. Fino a quel momento, avevo pensato di appartenere all’esercito più umano del mondo.
Fosforo bianco 3
Lì è stato senz’altro usato del fosforo bianco, l’ho visto e non ci si può sbagliare, si vedono proprio degli ombrelli infiammati.
Regole di ingaggio 1
Dall’inizio, il comandante della brigata e altri ufficiali ci hanno detto molto chiaramente che ogni movimento imponeva che si sparasse.
Indipendentemente dal tipo di movimento.
Non serve che ti sparino. Basta sospettare che ci sia un movimento, e questo prima di entrare nella nostra area designata. Non mi ricordo se l’abbia detto il comandante di brigata o qualcun altro. Non ne sono sicuro: nessuno dovrebbe essere lì, si spara ad ogni segno di movimento. Queste, essenzialmente, erano le regole di ingaggio. Spara, se vuoi. Se hai paura o se vedi qualcuno, spara.
Anche se non c’è pericolo?
Vuole dire questo, sì. Non si spara solo quando si è minacciati. Si presume di sentirsi costantemente in pericolo, quindi la minaccia è costante e si spara. In realtà nessuno ha detto "sparare comunque" o "sparare a qualsiasi cosa si muova". Ma non ci è stato ordinato di aprire il fuoco solo in caso di minaccia.
Vi sentivate minacciati, entrando?
Sì. Ricevevamo continuamente l’allerta. Il senso di minaccia letteralmente si accumulava in noi. Posso dire questo di noi, eravamo molto spaventati. In realtà non c’era motivo per esserlo, ma ci sentivamo minacciati. Non che sia successo qualcosa che lo giustificasse, ma dall’inizio siamo entrati a Gaza con la paura.
Regole di ingaggio 2
Ha fatto qualche distinzione fra civili e terroristi?
Anche questo è stato detto dopo, non nella stessa conversazione: se si vede qualcosa di sospetto e si spara, meglio colpire un innocente che esitare di colpire un obiettivo nemico. Si usa il proprio giudizio. La prima casa in cui siamo entrati non conteneva un singolo nemico. Abbiamo sparato alle finestre e non c’è stata reazione. Così siamo entrati nel modo in cui generalmente entriamo in una casa a Hebron: entriamo, chiediamo al proprietario di aprire, raduniamo tutti i maschi, li incateniamo, raccogliamo tutta la famiglia in una stanza e iniziamo a perquisire la casa. Questo normalmente in guerra non si fa.
Regole di ingaggio 3
Prosegua e chieda ai soldati quanto spesso hanno incontrato combattenti a Gaza – niente.
Quando siete entrati nella striscia di Gaza non c’era resistenza?
Quasi per niente.
Quali erano le regole di ingaggio? Portavate armi leggere?
Sì. Prima di tutto, ovunque non ci siano le nostre forze, si è esposti al fuoco. Tutto è una minaccia. Non esiste qualcosa come una procedura di arresto dei sospetti. Se individuo un sospetto, se è una minaccia per me, sparo.
Demolizioni
C’era una moschea, e non entrerò in tutti quei resoconti tradizionali sui motivi per cui c’era ancora una moschea, quelli sono per la discussione interna. Ma nel complesso, la maggior parte delle mosche è stata distrutta.
Unità rabbinica
C’erano rabbini dell’esercito che venivano e pregavano e ci davano un sacco di sostegno morale… dentro la zona, i rabbini vengono a parlarti. Un rabbino è stato portato in una casa ed era tutto eccitato per essere stato fuori sul campo con i combattenti e indossava un giubbotto protettivo di ceramica per la prima volta in 30 anni e sedeva con gli uomini a chiacchierare. Avevamo anche dei libretti editi dall’unità rabbinica con dei saggi.
Che cosa contenevano?
Saggi sull’operazione, l’importanza di servire il Popolo di Israele che è stato perseguitato in tutti questi anni e ora è ritornato nel suo Paese e deve combattere per esso. Tutti i noti clichés che mettono questo in relazione all’Olocausto e la difesa di Dio e anche perché è Gaza e il nesso con gli insediamenti evacuati di Katif, e qui stiamo ritornando nella zona di Katif, a Netzarim.
Una scala completamente diversa
Lei ha servito nell’esercito a Gaza per anni, è stata una distruzione in qualche modo simile a quelle che ha conosciuto prima?
No, nel modo più assoluto. Si è trattato di una scala completamente diversa. Questa è stata una potenza di fuoco come non ne ho mai conosciuto. Non posso dire che quando ero a Gaza non si fosse usata l’aviazione. Ma no, la terra non tremava di continuo. Voglio dire, c’erano tutto il tempo esplosioni. Se fossero lontane o vicine, questa è già semantica. Ma la nostra sensazione di fondo era che la terra tremasse costantemente. Si sentivano tutto il giorno esplosioni, la notte era piena di bagliori, un’intensità che non avevo mai provato prima. Molti bulldozer D-9 operavano 24 ore su 24, erano costantemente occupati. Questa è stata una scala di intensità molto diversa da quelle conosciute prima. Molto più grande… Guardi, quando ci sparavano, non vedevamo veramente il nemico con i nostri occhi. D’altra parte, ci sparavano e noi rispondevamo al fuoco verso punti sospetti. Che cos’è un punto sospetto? Significa che decidevi che era sospetto e potevi riversargli addosso tutta la tua rabbia.
sabato 3 ottobre 2009
Ricordi da El Khiam, il carcere israeliano nel Libano del sud
Terra, 30 settembre 2009
Uscendo dal cubo rosso una scatola di ferro alta non più di cinquanta centimetri e profonda anche meno dove stava accucciato, spesso nudo, con le mani legate dietro la schiena e nelle orecchie le martellate che il giovane militare israeliano di guardia aveva l’ordine di cadenzare per ore, minuto dopo minuto - se la testa gli reggeva il “terrorista” poteva guardare l’orizzonte, verso la Palestina soggiogata. È la prigione di El Khiam, Libano del sud, che dalla liberazione del maggio 2000 un cartello avverte essere aperta. Aperta per le visite, malgrado durante la guerra dei 34 giorni del 2006 l’aviazione israeliana, bombardando il luogo, abbia provato a cancellare le tracce della sua vergogna.
El Khiam nasce dopo che, nel marzo 1978 durante il primo tentativo d’annessione dello Stato libanese, le forze armate israeliane penetrarono per decine di chilometri nel territorio meridionale ben oltre il fiume Litani. Trovava l’appoggio delle truppe dell’Els, l’esercito locale collaborazionista comandato dal maggiore Haddad, reo nell’82 d’aver affiancato i falangisti nei massacri di Sabra e Shatila. Con le successive fasi del conflitto nei primi anni Ottanta a El Khiam fu istituito un luogo di detenzione e tortura, dove sono passati migliaia di resistenti palestinesi, libanesi e semplici civili. La tortura del cubo era una delle meno cruente. C’erano quella del palo al quale venivano appesi a testa in giù i prigionieri, nudi sia in estate che in inverno, per esser presi a calci o percossi dai soldati mentre il corpo dondolava. C’erano le immancabili botte, i ferri, i getti d’acqua bollente o gelata, le ferite ricoperte di sale e limone, l’inibizione del sonno.
Un Abu Ghraib ante litteram, anche se le torture sono un vecchio, vecchissimo armamentario di qualsiasi Stato canaglia. Racconta un militante di Hezbollah, qui detenuto per quattro anni, che ora fa da guida nel luogo “chi arriva ha la possibilità di vedere il traliccio dove i prigionieri venivano appesi a testa in giù con gli occhi bendati ma possiamo solo raccontare dei corpi bagnati cui venivano inferte le scariche elettriche o quelli minacciati, quasi a contatto di morso, dal ringhiare sinistro dei cani. Le pressioni psicologiche non erano da meno: gli israeliani portavano qui le nostre donne prese dai villaggi, ce le denudavano davanti e c’intimavano di riferire dove si nascondevano i nostri compagni di lotta se non volevamo vederle violentate. Purtroppo ci furono anche stupri in questo luogo maledetto”.
Fino al 2000 qui sono passati cinquemila prigionieri di cui quattrocento donne, con una presenza continuativa di centocinquanta persone. “Nel giorno della liberazione eravamo 144. Non c’era nessuna distinzione fra adulti e minorenni, dividevo la cella con un ragazzo tredicenne, un vecchio di 77 anni e sua moglie di 74, incarcerati solo per il sospetto che vicino casa si potesse essere nascosto qualcuno della resistenza. Gli israeliani offrivano denaro a chi tradiva e li appoggiava, più o meno 5 mila dollari, e hanno trovato naturalmente in più occasione qualcuno disposto ad aiutarli. Queste persone dopo la liberazione hanno potuto godere dell’amnistia che è stata concessa, eppure noi ex prigionieri non abbiamo provato alcun desiderio di vendetta. La Croce rossa internazionale è riuscita a entrare per la prima volta a El Khiam nel 1995, cercando di apportare migliorie alle strutture, perché era ben nota la durezza delle condizioni riservate ai detenuti. Chi si trovava fra queste mura veniva considerato un disperso, con pochissime possibilità di uscirne vivo”.
Dalla fine dell’occupazione delle forze armate israeliane e della dissoluzione dell’esercito fantoccio di Haddad (guidato dall’84 dal generale Lahad e che, nonostante reclutasse anche fra gli sciiti locali, non sarebbe rimasto in vita un giorno senza il supporto d’Israele) questa prigione, per volontà di Hezbollah, è diventata una meta di memoria e turismo politico. Il Partito di Dio ha incaricato un gruppo di ex detenuti di occuparsene.
Loro, organizzati in comitato, hanno istituito un percorso guidato che spiega ai visitatori le brutalità perpetrate in questo luogo per quasi un ventennio. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di studenti e stranieri interessati ai risvolti storico-sociali del Paese. La parziale distruzione israeliana di tre anni fa ha ridefinito l’iniziale progetto ma non ne ha modificato la finalità. Che prevede una parziale ricostruzione di alcune celle danneggiate, mantenendo però intatte le macerie che ricoprono i diversi blocchi bombardati. Sono già stati predisposti pannelli esterni e piccole sale con fotografie e reperti che illustrano la fondamentale funzione giocata dalla resistenza, cavallo di battaglia del partito di Nasrallah per un Libano libero da nuove occupazioni.
martedì 29 settembre 2009
Libano: La ricostruzione di Nahr al Bared in un limbo
sabato 26 settembre 2009
RILASCIARNE UNO E " DIMENTICARNE UNDICIMILA"
I movimenti, le associazioni e le persone che condividono questo appello possono sottoscriverlo inviando una mail a: presidente@perilbenecomune.net
oppure scrivendo a: Per il Bene Comune, Piaz.le Stazione 15, 44100 Ferrara tel./fax. 0532.52.148
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La lettera inviata ai senatori:
Signor Presidente del Senato, Signori Senatori della Repubblica,
abbiamo registrato con sorpresa la notizia che il Senato ha approvato una risoluzione che chiede il rilascio di un soldato di Israele, catturato mentre partecipava ad una operazione militare ordinata per perlustrare un villaggio della striscia di Gaza.
Sorprende che tale presa di posizione non abbia nemmeno accennato agli oltre 11.000 (undicimila) palestinesi rapiti e illegalmente imprigionati dallesercito e dalle autorità doccupazione israeliane, ben sapendo che tra queste ci sono anche il Presidente della Assemblea Nazionale (Parlamento) e oltre cinquanta sindaci e dirigenti politici palestinesi, tra cui 21 parlamentari.
Confidando sulla adesione del Senato della Repubblica alla Carta Universale dei diritti dellUomo e sullindipendenza sua e degli attuali senatori dalle pressioni della lobby filo sionista, noi facciamo appello a lei ed a tutti i senatori affinché venga posto un rimedio a tale dimenticanza, assumendo una posizione più giusta, equilibrata e dignitosa, in cui venga chiesto alle autorità civili e militari di Israele:
di rispettare le 72 (settantadue) risoluzioni e le deliberazioni dellONU sin qui ignorate;
di porre fine alla occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina e del Golan;
di liberare i colleghi parlamentari palestinesi che sono stati rapiti;
di liberare tutti i prigionieri da anni in carcere senza processo e colpevoli unicamente di non gradire loccupazione militare della propria terra;
di fare piena luce sul traffico dorgani che avviene dopo le morti accidentali dei prigionieri.
Fernando Rossi
Senatore della XV Legislatura
Lista Civica Nazionale Per il Bene Comune
Visita il sito: www.perilbenecomune.net
mercoledì 23 settembre 2009
“Dopo la pubblicazione del rapporto dell’ Onuper i fatti avvenuti a Gaza: Israele al Tribunale per i crimini di guerra!”
pubblicazione del rapporto dell’Onu per l’accertamento dei fatti sul conflitto di Gaza è un passo importante, a condizione che abbia un seguito. Esso è importante anzitutto per la sicurezza pubblica internazionale: durante i due decenni del predominio dei neo-conservatori negli Stati Uniti, abbiamo assistito agli sforzi congiunti della casa Bianca e di Israele per vanificare le norme del diritto internazionale. Possiamo ricordare lo stupido commento di George W. Bush: egli, nella cornice della guerra globale al terrorismo sostenne che era essenziale annullare le limitazioni poste ai combattenti dalla Convenzione di Ginevra.E Israele, già nei primi anni ’70 aveva deciso che la Quarta Convenzione di Ginevra non era applicabile nei Territori Occupati.Il rapporto, e prima di questo il parere consultivo della Corte Internazionale sulle Conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, ricorda al mondo che la lezione dell’epoca nazista non è stata dimenticata e che il mondo non è una giungla in cui predomina la forza, ma una comunità civilizzata che si sforza di agire secondo le leggi internazionali che proteggono i fondamentali diritti degli esseri umani. E per coloro che obiettano, giustamente, che queste norme internazionali sono violate ogni giorno dalla maggioranza dei Paesi del mondo, noi dobbiamo rispondere che è meglio che ci siano norme e leggi che proteggono i più deboli, anche se non sono generalmente rispettate, che vivere in una società senza leggi che permette al più forte di fare ciò che vuole.Le risposte dei leader israeliani erano prevedibili: "rapporto prevenuto" " approccio unilaterale", e " noi abbiamo sempre saputo che Goldstone è antisemita…. o un Ebreo che odia se stesso".A capo di questa campagna sta, e non poteva essere altrimenti, Ehud Barak, che ha dichiarato che "questo rapporto non solo premia il terrorismo, ma addirittura lo incoraggia" . Barak ha aggiunto che il Ministro della Difesa assicurerà la consulenza legale a quegli ufficiali contro i quali fossero avviati procedimenti legali.In base ai regolamenti della legge internazionale si suppone che le conclusioni del rapporto saranno ora discusse nel Consiglio per i Diritti Umani e poi nel Consiglio di Sicurezza, che potrebbe poi trasferirle alla Corte Internazionale dell’Aja o a una Corte internazionale speciale, cosicché coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra possano essere processati e se ritenuti colpevoli condannati a stare dietro le sbarre per molti anni. In ogni modo, questa stessa legge internazionale ha previsto dei privilegi per le grandi potenze, cioè il potere di veto.La diplomazia israeliana concentrerà immediatamente i propri sforzi nel convincere alcune di queste potenze a porre il veto e togliere Israele dai guai. E soprattutto farà pressioni sulla casa Bianca.Così è arrivata la vera prova per Barack Obama : nessuna dichiarazione su "la pace entro due anni" e "il diritto dei palestinesi a uno stato", ma al momento una trattativa con politiche concrete che contraddicono i valori che egli sostiene e con chiare esortazioni a adire alle vie legali.Barack deciderà se al sistema delle leggi internazionali sarà permesso di fare ciò che ci si aspetta da esse . Con mio dispiacere, io scommetto che lui starà con Israele, cioè, che gli Stati Uniti useranno il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Comunque, il veto americano non porrà fine alla storia: numerosi Paesi nel mondo hanno adottato leggi che permettono loro di giudicare persone accusate di crimini di guerra contro l’umanità.Sta a noi, donne e uomini, in Israele e all’estero, che temono per la sicurezza pubblica internazionale e le leggi internazionali, il compito di unire le forze per porre a questi criminali di guerra il dilemma: rischiare di essere processati se vengono trovati in paesi il cui la legge lo permette, o rimanere chiusi in Israele, abbandonando l’idea di fare turismo in Spagna o un anno sabbatico nel Regno Unito.Come è accaduto al precedente comandante delle forze aeree israeliane che è stato costretto a rimanere dentro l’aereo all’aeroporto di Londra, quando seppe dell’ordine di detenzione che lo aspettava se avesse messo piede in Gran Bretagna.La creazione di un "Osservatorio sui crimini di guerra israeliani" può essere uno dei contributi della società civile per dar seguito al rapporto dell’ ONU , in aggiunta alla raccolta del rilevante materiale e delle testimonianze sulle azioni militari di Israele a Gaza , e al monitoraggio dei movimenti di coloro che sono sospettati di crimini di guerra.
lunedì 21 settembre 2009
Sono oltre 8mila i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, rapporto
venerdì 18 settembre 2009
Un’infrastruttura di terrorismo ebraico
IL MASSACRO DEI CIVILI MUSUMANI è SEMPRE AUTODIFESA, NON è MAI TERRORISMO
Ma è disgustoso vedere come i commentatori filo-israeliani abbiano la 'chutzpah' [sfacciataggine, in ebraico] di sostenere che Israele abbia il più elevato livello morale proprio mentre nei campi di concentramento di Gaza essa sta commettendo assassinii di massa. E l’autentica barbarie mostrata da Israele ha il pieno appoggio dei governi americano e britannico. La maggior parte degli israeliani non prova alcun rimorso nell’uccidere dei 'gentili’. Negli Stati Uniti si possono vedere degli ebrei filo-israeliani che festeggiano i bagni di sangue, ma della barbarie israeliana tratterò più tardi in dettaglio. Vi è anche una tacita approvazione di questo massacri da parte di alcuni regimi arabi, stando al loro silenzio e alla loro inerzia.
Come esempio di vera democrazia, Israele e gli Stati Uniti ignorano completamente tanto le proteste di massa, quanto la Risoluzione 1860 emessa [l’8 Gennaio 2009] dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite ["immediata e durevole cessazione del fuoco a Gaza e ritiro totale delle forze israeliane, libera fornitura di cibo, combustibile e assistenza sanitaria, accordi internazionali contro il contrabbando di armi e munizioni…"], la quale riflette l’opinione della grande maggioranza della popolazione mondiale. Infatti il voto fu unanime: 142 a favore, 4 contro, e 8 astensioni. Cosicché le democrazie avrebbero costituito il Consiglio di Sicurezza per dar modo alle Nazioni Unite di agire nell’interesse di questa minuscola minoranza!
Il presidente dell’assemblea, il nicaraguegno Miguel d'Escoto Brockmann, così si espresse :
"Le violazioni del diritto internazionale in merito all’attacco di Gaza sono state ben documentate: punizione collettiva; uso sproporzionato di forza militare; attacco a bersagli civili, fra cui case, moschee, università e scuole."
Egli mise anche in rilievo la natura ingrata dello stato ebraico col dire:
"Trovo ironico che Israele, uno stato che più di ogni altro deve la sua stessa esistenza ad una Risoluzione della Assemblea Generale (1948) disprezzi poi tanto le Risoluzioni delle Nazioni Unite… "
Sul fatto che Israele abbia commesso a Gaza dei crimini di guerra vi è consenso generale e vi furono richieste di ulteriore investigazione. Se solo una piccola parte di questi crimini fosse stata commessa da un paese musulmano, sarebbero subito stati mandati ad eseguire bombardamenti i soldati degli Stati Uniti, e non i caschi blu delle Nazioni Unite.
Israele sa che il mondo sta diventando insensibile allo spargimento di sangue musulmano, perché è facile giustificare delle uccisioni su scala di massa quando una popolazione è stata precedentemente demonizzata. Ciò suona familiare; infatti è la stessa tattica usata dai Nazisti. Le loro vittime hanno imparato bene la lezione dalla esperienza del loro olocausto! Infatti, la faccenda di spacciare e sfruttare l’olocausto continua fino ad oggi
In Palestina non c’è petrolio: vi è soltanto olio d’oliva, e questo spiega perché l’organizzazione pilotata dagli Stati Uniti denominata Nazioni Unite è paralizzata. Va ricordato che già nel 1991 la cosiddetta comunità mondiale della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti si mosse per salvare i 'poveri’ kuwaitiani da Saddam Hussein, come se si trattasse di una crociata morale per far trionfare la giustizia e il diritto internazionale, senza avere a che vedere col petrolio.
I sionisti eccellono non soltanto nell’ammazzare uomini e bambini indifesi, ma anche nella propaganda a ciò relativa. Essi dispongono in abbondanza di soldi, influenza, e risorse, con l’ulteriore vantaggio di sapere che gli arabi useranno il loro danaro del petrolio solo per costruire più centri commerciali per comodo di compagnie sioniste come la Starbucks, la Marks e la Spencer.
Nella loro propaganda i sionisti ripetono frequentemente alcuni punti, senza troppo badare a loro valore effettivo , trattandosi di un uditorio di così scarsa qualità come le masse docili e ignoranti degli Stati Uniti. I punti che la propaganda dei sionisti va continuamente diffondendo, e che i mezzi di informazione amplificano, sono i seguenti:
a) Ripetono continuamente che Hamas è un’organizzazione terrorista e non un corpo democraticamente eletto. L’etichetta di terrorista viene applicata senza considerare chi venga effettivamente terrorizzato e massacrato. La 'logica’ sottintesa è che le armi di Hamas spargono il terrore, ma quelle americano-israeliane no! In realtà sono però Hamas e i palestinesi che dal 1948 vengono terrorizzati e massacrati. Ecco l’ironia: Hamas, che difende le loro case, è considerata terrorista, e gli ebrei di importazione che si sono 'sistemati’ su terre rubate, sono vittime innocenti.
b) Per contrapposto, Israele non è minimamente uno stato terrorista, quali che siano il terrore e le carneficine che essa causa e quante donne e quanti bambini ammazzi. Al contrario, in occidente Israele viene spesso esaltata come 'la unica democrazia del Medio Oriente’, nonostante che abbia le evidenti caratteristiche di uno stato a discriminazione razziale. Ciò implica che gli arabi sono troppo incivili per essere democratici.
c) Hamas viene descritta come un aggressore belligerante per aver lanciato 'migliaia di missili micidiali’. In realtà si tratta di qualche missile di fabbricazione domestica che fece un numero di vittime irrisorio in paragone con quanto avviene a Gaza. Fa quindi comodo parlare di 'migliaia di missili lanciati da Gaza’, perché sarebbe troppo imbarazzante giustificare l’uccisione di mille palestinesi contro quella di una manciata di ebrei, specialmente da parte di una nazione che sostiene il noto principio etico 'occhio per occhio – dente per dente’.
d) Come al solito, è il 'debole’ e 'vulnerabile’ Israele che si difende, come gli Stati Uniti si difendevano dal poderoso Saddam Hussein armato delle sue 'Armi di Distruzione di Massa’! Del continuo assedio imposto da Israele su Gaza e della rottura della tregua a Novembre non si fa parola. La storia comincia - opportunamente - mostrando Israele come una vittima innocente che agisce per autodifesa. Secondo il senso comune, autodifesa significa respingere un nemico che avanza, cioè che la minaccia è vera e operante, e non i pochi razzi fatti in casa che Hamas lanciò per rappresaglia contro il persistente asservimento dei palestinesi.
e) La pretesa fantastica più recente è che Hamas ha detto che è lì per uccidere ogni ebreo, e qui entra in ballo di nuovo lo sfruttamento del famoso 'olocausto’: Israele si troverebbe ancora una volta di fronte alla minaccia di un totale annientamento. Ammesso pure che Hamas lo abbia detto, non è questo un risultato della barbarie israeliana? Israele deve ricordare che un giorno le vittime di Gaza potranno essere vendicate, e con una punizione collettiva.
L’entità sionista ha mostrato la sua barbarie prima a Sabra e a Shatila, a Qana e a Jenin. A Gaza essa ha fatto un passo avanti, e non si tratta solo dell’uccisione di civili innocenti. In un’intervista sul Canale 4 venne chiesto a Mark Regev, il portavoce del Primo Ministro di Israele, perché le Forze di Difesa Israeliane avevano impedito per tre giorni alla Croce Rossa di raggiungere a Gaza i morti e i feriti civili. Gli venne anche chiesto, specificamente, perché era stato negato l’aiuto della Croce Rossa ai bambini morenti di fame che aspettavano un po’ di cibo accanto ai cadaveri delle loro mamme, cosa della quale nella propaganda non si parla. Al personale della Croce Rossa venne alfine concesso di recarsi, a piedi, presso le vittime distanti un miglio. Un simile comportamento è disgustoso da parte di persone che agitano continuamente la bandiera dell’olocausto e gridano di essere state delle vittime. Se pure è vero che abbiano sofferto tanto, dovrebbero almeno comportarsi come esseri umani, e non come delle bestie.
Per non dimenticare Sabra e Chatila!
I Massacri di Sabra e Shatila15 settembre 2009Ventisette anni fa, tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo di Palestina ed il mondo intero, furono colpiti da un orrendo crimine: i sanguinosi massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in Libano.A Sabra e Shatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre. Furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut. Noi ora leviamo le nostre voci in onore di quei nostri martiri che morirono lottando per la nostra libertà nei campi di Sabra e Shatila e per la loro continua dedizione per la giustizia e la libertà.Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa ed oggi primo ministro dello stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi. A questo punto, Sharon ha ordinato l’entrata a Sabra e Shatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti, e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano. Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, che continua tutt’oggi il suo brutale massacro di Palestinesi.Le radici del massacro di Sabra e Shatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione della nostra terra.
sabato 18 luglio 2009
Shalit, Israele e l’ipocrisia
domenica 5 luglio 2009
La verità dietro la propaganda sulla "sovranità" dell'Iraq
1 luglio 2009
"I media corporativi sono tutt in fibrillazione e danno una copertura a tappeto alla storia degli iracheni che "riottengono la loro sovranità" dal momento che le truppe USA vengono ritirate dalle città irachene. Questa naturalmente è propaganda livida ed infondata - centinaia di migliaia di truppe USA resteranno in Iraq collocate in dozzine di basi militari USA che sono state costruite per tutto il paese.
"Ad oggi in Iraq vi sono approssimativamente 130.000 militari USA. La maggior parte dei soldati USA che erano stati schierati nelle città irachene vengono fatti rientrare in guarnigioni altrove nel paese. L'aeronautica degli Stati Uniti controlla lo spazio aereo iracheno. La marina degli Stati Uniti controlla le acque territoriali dell'Iraq", osserva Cryptogon blog.
"Sovranità: No. Propaganda: Si".
Dopo la data del ritiro completo "ufficiale" del 2011, che l'ammiraglio Mike Mullen ha rivelato non essere nemmeno garantita, "Obama progetta di lasciare indietro una "forza residua" di decine di migliaia di truppe per continuare ad addestrare le forze di sicurezza irachene, catturare le cellule di terroristi stranieri e proteggere le istituzioni americane", ha riferito il New York Times lo scorso febbraio.
"Forza residua" è un eufemismo per "esercito di occupazione", dal momento che soltanto il più stupidamente ingenuo potrebbe mai credere che l'Iraq ora non sia nulla più che uno stato fantoccio sottomesso all'impero del nuovo ordine mondiale.
Un alto ufficiale lo ha spiegato più chiaramente per filo e per segno al Los Angeles Times: "Quando il presidente Obama ha dichiarato che saremmo andati "fuori" dall'Iraq entro 16 mesi, alcune persone hanno sentito "fuori", e ognuno se ne va. Ma questo non avverrà", ha affermato l'ufficiale.
Effettivamente, quando è stato fatto l'ultimo calcolo, quasi tre anni fa, i militari USA avevano già costruito in Iraq non meno di 55 basi militari pienamente funzionali, con il finanziamento pronto per costruirne molte di più.
Inoltre, le truppe USA non lasciano del tutto neppure le città. Rapporti confermano che i carri armati USA continueranno a pattugliare le aree al di fuori della "zona verde" e dell'aeroporto a Baghdad. Le vie delle città principali saranno ancora pattugliate da soldati iracheni addestrati dagli USA che prenderanno posto ai posti di blocco ovunque molestando la gente con la scusa di controllare i documenti. In aggiunta, se gli iracheni "richiedono aiuto" dalle truppe USA per intraprendere procedure di sicurezza, queste torneranno subito nelle strade proprio come prima.
Gli iracheni stessi non sono ingannati dalla farsa. Come ammette il New York Times, oggi le "celebrazioni" "sembrano una messa in scena". Secondo il rapporto, "Le auto della polizia sono state decorate con festoni con fiori di plastica e segnali che celebrano il "giorno dell'indipendenza" sono stati legati a muri e steccati antiurto attorno alla città. Lunedì notte, una celebrazione serale festiva al Parco Zahra con cantanti ed ospiti ha attirato principalmente giovani, molti di loro poliziotti fuori servizio".
"Non vi è nessun dubbio che questa non sia sovranità nazionale perché gli americani resteranno all'interno dell'Iraq in basi militari", ha affermato Najim Salim, 40 anni, insegnante di Bassora. "Ma il governo vuole convincere i cittadini che vi sia un ritiro delle truppe straniere, sebbene il governo non possa proteggere i cittadini in alcune città dell'Iraq neppure con la presenza delle forze USA".
Secondo il dizionario Websters, la "sovranità" viene definita come "libertà dal controllo esterno".
Chiunque creda che l'Iraq sia un paese sovrano ed abbia "libertà dal controllo esterno" o che lo otterrà mai mentre centinaia di migliaia di truppe USA sono stazionate in dozzine di basi per tutto il paese, probabilmente crede ancora che Saddam nascondesse armi di distruzione di massa.
sabato 27 giugno 2009
IL MURO DELLA VERGOGNA…
mancano meno di due settimane al quinto anniversario della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sullo smantellamento del Muro. Il fatto che la costruzione del Muro continui, a cinque anni dalla sentenza, è la prova lampante dell’impunità che la comunità internazionale garantisce ad Israele.
In questo anniversario, facciamo appello ai sostenitori dei diritti dei Palestinesi in tutto il mondo affinché rinnovino i loro sforzi nella lotta contro il Muro dell’Apartheid.
Cinque anni fa, la Corte Internazionale di Giustizia sembrava aver rafforzato la nostra battaglia. Il 9 luglio 2004, la Corte sentenziò che
- la costruzione del Muro nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, è illegale e che Israele doveva cessarne la costruzione, smantellare le parti già costruite e risarcire i danni causati.
- nessuno Stato avrebbe dovuto fornire aiuto o assistenza al mantenimento del Muro ed al suo regime e tutti gli Stati aderenti alla IV Convenzione di Ginevra sono obbligati ad assicurare il rispetto da parte di Israele delle leggi umanitarie internazionali.
Nonostante la chiarezza di questa sentenza, né Israele, né la comunità internazionale hanno indicato che intendono rispettare i loro obblighi verso il Diritto Internazionale. Invece, il Muro è semplicemente scomparso dall’agenda della diplomazia internazionale, mentre continuano le distruzioni di cui è causa.
Nei primi quattro mesi di quest’anno, l’esercito israeliano ha già costruito più parti del Muro che nell’intero 2008. Come risultato di questo progetto, lo sbalorditivo numero di 266.422 Palestinesi che vivono in Cisgiordania sono circondati, isolati e con la prospettiva della deportazione.
Se l’amministrazione Obama e i governi europei fossero seri sulle loro posizioni sulle colonie, per prima cosa imporrebbero il rispetto della sentenza della Corte, che evidenzia l’illegalità del Muro, delle colonie e del regime che vi è associato. In questo modo, i leader politici potrebbero far rispettare il Diritto Internazionale e restituire ai popoli fiducia nella pace e nel futuro.
Lasciati soli a difendere i propri diritti e le norme del Diritto Internazionale, i comitati popolari hanno continuato le mobilitazioni con il sostegno dei difensori dei diritti umani di tutto il mondo. Hanno rallentato la costruzione del Muro e ottenuto restituzioni di terre, ma l’obiettivo finale di abbattere il Muro è ancora lontano. I villaggi palestinesi continuano a pagare un alto prezzo per la loro determinazione 16 persone, la metà delle quali bambini, sono già state uccise dalle forze israeliane nel corso delle proteste, mentre altre centinaia sono state ferite o arrestate.
Interi villaggi subiscono il coprifuoco e la chiusura dei cancelli del Muro come punizione collettiva.
giovedì 25 giugno 2009
A Istanbul i primi sforzi internazionali per ricostruire Gaza.
Istanbul – Infopal. L’Organizzazione araba per la ricostruzione di Gaza ha organizzato la prima Conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza, svoltasi mercoledì e giovedì nella città di Istanbul, in Turchia.
Alla Conferenza hanno partecipato circa 800 personalità provenienti da più di trenta paesi del mondo arabo, musulmano e europeo, tra cui rappresentanti di organizzazioni sindacali e associazioni benefiche, imprenditori e uomini d'affari.L’Organizzazione, fondata dopo l'aggressione sionista sulla Striscia di Gaza dall’ordine degli ingegneri giordani e da altri ordini di paesi arabi e internazionali, ha invitato a muoversi rapidamente su tutti i fronti per ridare vita alla città martoriata, sottolineando che la guerra ha distrutto le infrastrutture e i settori principali al servizio dei cittadini.
A tal proposito, sarebbero stati già individuati 450 progetti per la sanità, l’edilizia abitativa e l’istruzione, per un costo complessivo di circa mezzo miliardo di dollari.La conferenza ha inoltre annunciato il lancio di un’azione appoggiata da ordini ed associazioni di tutti i paesi del mondo. Wael as-Saqqa, presidente del Consiglio di amministrazione dell’Organizzazione, ha comunicato che il valore dell’azione sarà pari a 100 €, e che la sua sottoscrizione su scala internazionale aprirà la strada a molte persone perché contribuiscano alla ricostruzione. Per i partecipanti musulmani alla conferenza di fede musulmana è stata ricordata la fatwa (un parere ufficiale emanato da un’autorità religiosa musulmana, ndr) del presidente dell’Unione internazionale dei sapienti musulmani, il dott. Yusuf al-Qaradawi, nella quale si afferma che tale contributo va considerato parte “della zakat (la donazione di beneficenza richiesta dai principi dell’Islam, ndr) obbligatoria per tutti i musulmani”.Secondo quanto dichiarato nella fatwa, “se la ummah musulmana si è divisa sulla questione dei fratelli di Gaza, se non è stata in grado di aiutare a respingere l’aggressione o fermarla, come avrebbe richiesto il dovere religioso, e se, com’è accaduto molte volte, non è stata in grado di far arrivare gli aiuti, come cibo, vestiti e medicine, allora il minimo che può fare è ricostruire quanto è stato distrutto: case, scuole, ospedali, impianti idrici e per l’elettricità, strade e infrastrutture; questo soprattutto se il nemico tenta di ottenere, facendosi carico della ricostruzione, ciò che non ha ottenuto con la sua brutale aggressione ai danni del nostro popolo”.La linea espressa dalla fatwa prevede che tutti i musulmani dovrebbero contribuire alla causa, in quanto “imposto dalla zakat, dal momento che la popolazione di Gaza, che vive in povertà, ne ha pieno diritto”. Il presidente as-Saqqa, nel corso della Conferenza, ha inoltre annunciato l'apertura di alcune sedi regionali dell’Organizzazione per la ricostruzione, ad esempio in Giordania e in Turchia, e la prossima estensione della rete ad altri paesi arabi ed islamici. L’Organizzazione è stata inoltre registrata ufficialmente in Gran Bretagna e Turchia. Da parte sua, lo stato turco ha promesso di destinare 350 milioni di euro a Gaza.
IL CARCERE 1931...
martedì 23 giugno 2009
"SCONVOLTO"
“Sono sconvolto”: l’ha detto anche l’ex presidente americano Jimmy Carter, che in questi giorni si è recato a Gaza. La visita è durata un giorno appena ma è stata sufficiente per avere un’idea della distruzione e delle devastazioni provocate dall’offensiva israeliana “Piombo fuso” nel dicembre 2008.
Ha usato anche altri termini, più duri: “ho difficoltà a trattenere le lacrime”; “ho visto le deliberate distruzioni”; “1,5 milioni di palestinesi qui a Gaza trattati come animali”
Carter ha avuto modo di verificare che la ricostruzione a Gaza non c’è stata per il semplice motivo che esiste e persiste un blocco (illegale) di Israele che impedisce il transito a qualsiasi cosa, dall’acciaio al cemento, fino ai giocattoli e alle matite colorate per bambini!
A fine giornata l’ex presidente degli Stati Uniti ha inoltre avuto modo di incontrare Ismail Haniyeh, leader di Hamas. A fine incontro Carter ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Hamas vuole la pace”.Non mi risulta che Carter sia un filo-terrorista!
domenica 21 giugno 2009
Due anni di chiusura di Gaza nei numeri
>Giugno 2007 – giugno 2009 una frontiera chiusa. La limitazione degli approvvigionamenti
- Quantità di beni a cui è consentito l'ingresso a Gaza, in base alla domanda: 25% (approssimativamente 2.500 tir al mese contro i 10.400 precedenti al giugno 2007)
- Forniture di gasolio a cui è consentito l'ingresso a Gaza, in relazione al fabbisogno: 65% (2,2 milioni di litri alla settimana contro i 3,5 necessari per produrre elettricità)
- Durata media dell'interruzione nell'erogazione di energia elettrica a Gaza: 5 ore al giorno
- Numero delle persone senza accesso all'acqua corrente a Gaza: 28.000
Confronti e comparazioni
- Numero delle voci dei beni alimentari di cui la risoluzione del Governo israeliano ha promesso l'ingresso a Gaza: illimitato
- Numero delle voci dei beni alimentari che attualmente hanno il permesso di entrare a Gaza: 18
- Ammontare della somma di denaro promesso per gli aiuti alla ricostruzione dalla Conferenza dei Donatori nel marzo 2009: 4,5 miliardi di dollari
- Quantità di materiali per l'edilizia autorizzati ad entrare a Gaza: Zero
- Tasso di disoccupazione a Gaza nel 2007, anno in cui è stata imposto il blocco: 30%
- Tasso di disoccupazione a Gaza nel 2008: 40%
Niente sviluppo, niente prosperità, solo i beni "umanitari minimi" sono autorizzati all'ingresso
- L'esercito israeliano consente l'ingresso della margarina in piccole confezioni singole ma non quello della margarina stoccata in grandi contenitori perchè potrebbe essere usata per l'industria (per esempio dalle aziende alimentari, producendo così posti di lavoro)
- Il Governo israeliano ha chiarito l'interpretazione restrittiva al provvedimento del 22 marzo 2009, il quale autorizzava l'ingresso senza limitazioni di rifornimenti alimentari all'interno di Gaza e che il governo "non intende rimuovere le restrizioni imposte precedentemente all'entrata di cibo e rifornimenti in Gaza". Traduzione: le forniture alimentari continuano ad essere limitate.
- Tra prodotti alimentari il cui ingresso a Gaza è vietato figurano: Halva (dolce a base di pasta di semola), te e succhi di frutta.
- Tra beni non alimentari il cui ingresso a Gaza è vietato figurano: palloni da calcio, chitarre, carta, inchiostro.
Un popolo in trappola
- Numero di giorni in cui il valico di Rafah è stato aperto per un traffico regolare: Zero
- Numero di persone ogni mese non in grado di attraversare Rafah: 39.000
- Criterio per il passaggio al valico di Erez: casi umanitari eccezionali
mercoledì 17 giugno 2009
Centro per i diritti umani di Gaza: ecco i numeri della guerra d'Israele.
martedì 16 giugno 2009
Farsi prendere per i fondelli da Netanyahu
15 giugno 2009Nel mezzo del casino iraniano ci mancavano i giochini di Netanyahu, infilatosi nei titoli di giornale con pseudoproposte di pace in Medio Oriente messe giù all’unico scopo di prendere per il naso le distratte opinioni pubbliche occidentali e costringere i palestinesi a dire l’ennesimo, inevitabile "no" che gli servirà da scusa per sferrare l’ennesimo, prevedibile, attacco.I preparativi di alibi di Netanyahu appaiono più grossolani del solito, stavolta: in pratica, il Nostro propone ai palestinesi di farsi uno Stato con questa roba qua (cliccare qui per ingrandirla come si deve, in tutta la sua tragica ironia):
La frase geniale, poi, è questa qua: ""Gerusalemme dovrà rimanere capitale indivisibile dello Stato ebraico". "Rimanere"? Ma davvero? Ma da quando Gerusalemme è capitale di Israele, scusate? La dichiarazione di Gerusalemme capitale è una violazione del diritto internazionale (ris. 478/80 del Consiglio di sicurezza dell’ONU) e non c’è paese che la riconosca. E invece, secondo Netanyahu, i palestinesi - giusto loro, quando non lo fa manco l’Unione Europea - dovrebbero accettare che essa "rimanga" tale. Tu pensa che faccia di tolla.
E poi la pretesa che l’ANP "riporti l’ordine a Gaza" contro i governanti a suo tempo democraticamente eletti, roba che manco Ahmadinejad.E lo sprezzante appellativo di "Hamastan", e la chiusura ai profughi in quanto "non ebrei" e così via.
Mi pare difficile dare torto a chi lo ha definito un discorso "razzista". Se questo non è razzismo, che dire: spiegatemi cos’è il razzismo secondo voi, grazie.
Rimane da capire quale sia il vero obiettivo di Netanyahu, dopo questa occupazione di prime pagine dei giornali a mo’ di lupo travestito da nonna di Cappuccetto Rosso.Vorrà divorarsi qualcosa d’altro, come dicevo prima, approfittando dell’allarme generale sull’Iran: non vedo altre spiegazioni.
lunedì 15 giugno 2009
Le elezioni libanesi: una prima analisi
Le elezioni del 2009 si sono concluse con messaggi molteplici e contraddittori, ma mai sorprendenti per il Libano. Tuttavia, forse la cosa più importante è che si è trattato di una consultazione caratterizzata da una vera partecipazione e da una leale competizione in molti collegi elettorali. Un esito rinfrancante, se si pensa che le elezioni nella regione sono solitamente manifestazioni plebiscitarie messe in scena dai despoti al potere.
Queste elezioni saranno ricordate per le previsioni sbagliate che le hanno caratterizzate. Una previsione palesemente fuori bersaglio, espressa con convinzione proprio dalle pagine di questo giornale la scorsa settimana, è stata quella secondo cui molti elettori cristiani confusi avrebbero rimescolato le carte fra le diverse liste dei loro candidati. E’ accaduto esattamente il contrario, visto che i blocchi elettorali, ed anche gli indipendenti – nient’affatto confusi – hanno espresso il loro voto alle urne in maniera relativamente inalterata. Ciò ha dimostrato che il potere dei leader e dei partiti politici di portare alle urne obbedienti blocchi di elettori è stato più saldo che mai; che i cristiani indipendenti hanno in gran parte votato sulla base delle loro convinzioni, in questo caso contro Michel Aoun e contro Hezbollah; e che il Libano rimane diviso tra due ampie coalizioni, cosicché le elezioni, pur rivelando un fondamentale allontanamento dalle scelte dell’opposizione, hanno cambiato poco negli equilibri di forza complessivi del paese.
Le elezioni hanno espresso una convincente vittoria della coalizione del 14 Marzo, dimostrando che essa potrebbe ottenere una netta maggioranza senza dipendere dai cosiddetti indipendenti; e ciò, anche tenuto conto di una legge elettorale che favorisce l’opposizione. Saad Hariri sarà il prossimo primo ministro, ponendo fine alle speculazioni su quando egli avrebbe potuto assumere l’incarico. Egli ha un mandato, ed ha agito astutamente nel periodo pre-elettorale, camminando in punta di piedi attraverso vari "campi minati" per soddisfare i propri partner. Egli è anche riuscito a cooptare i suoi potenziali rivali sunniti, consolidando la sua "presa" sulla comunità dopo un periodo in cui la sua leadership era stata messa in dubbio. Ciò non soltanto promuoverà le credenziali di Hariri in Arabia Saudita e nel mondo arabo, ma indica anche che egli è finalmente riuscito a mettersi alle spalle la debacle del maggio 2008 .
I principali alleati di Hariri, Samir Geagea e Walid Jumblatt, hanno avuto letture del tutto differenti dei risultati. Geagea ha rischiato in alcune regioni, ma alla fine ha ampliato la propria base di rappresentatività, fra membri del partito e candidati esterni da lui appoggiati. Egli rimane tuttora nettamente dietro il generale Michel Aoun in termini di quote parlamentari, ma ha condotto una campagna ben organizzata, aumentando relativamente il suo peso politico e dimostrando di essere un attore di rilievo in circoscrizioni chiave come Zahleh e Beirut. Geagea ha lavorato soprattutto in vista delle elezioni del 2013 ed in preparazione del periodo post-Aoun, visto che il generale sarà quasi ottantenne fra quattro anni. In questo senso, il leader delle Forze Libanesi ha raggiunto gran parte dei suoi obiettivi.
Jumblatt, prevedibilmente, ha avuto buoni risultati nei distretti di Chouf e Aley, ma ha subito due importanti sconfitte sotto il profilo della sua strategia generale. Egli ha perso il parlamentare druso Ayman Choukair nella circoscrizione di Baabda, facendo arretrare il proprio blocco a vantaggio di un’alleanza di maroniti e sciiti, e lasciando ipotizzare che essi potrebbero scegliere il rappresentante druso in quel distretto in futuro. Come se non bastasse, egli aveva contato molto sulla sua apertura nei confronti degli sciiti e sulla sua alleanza con il presidente del parlamento Nabih Berri per aiutare Choukair a vincere. Questa bizzarra idea è crollata visto che la comunità sciita ha votato in massa a favore di Aoun. Ciò ha messo in evidenza i veri limiti del riavvicinamento di Jumblatt nei confronti di Berri, che entrambi vedevano come l’embrione di un blocco centrista più amichevole nei confronti della Siria.
Michel Aoun ancora una volta ha gestito un paradosso. Egli è emerso dalle elezioni più forte, ma accompagnato da segnali che indicano che l’appoggio popolare dei cristiani nei suoi confronti è in sensibile declino. Aoun controllerà il blocco cristiano più ampio in parlamento, e ciò gli servirà per rinsaldare il suo potere contrattuale, continuando a insistere sul fatto che egli è il rappresentante maronita di maggior spicco, in particolar modo nel suo rapporto con Saad Hariri e con la comunità sunnita. Tuttavia, i margini della sua vittoria sono notevolmente inferiori rispetto al 2005; egli ha avuto bisogno del voto sciita per vincere in molti distretti a maggioranza cristiana; e un gran numero di cristiani ha dichiaratamente votato contro di lui, dimostrando che egli continua a non avere alcuna capacità di unire la propria comunità.
Hezbollah non può essere dispiaciuto dei risultati. Si è pur sempre trattato di una situazione da cui il partito sciita aveva comunque da guadagnare. La maggioranza ottenuta dalla coalizione del 14 Marzo è più o meno la stessa di quattro anni fa, e con Hariri come primo ministro, Hezbollah pensa di poter porre un volto sunnita credibile a difesa della sua "resistenza" armata. Il partito ritiene anche, a torto o a ragione, di aver un maggior potere negoziale nei confronti di Hariri se egli è al governo. Hezbollah aveva puntato molto su Aoun e questa scommessa alla fine ha pagato, nella misura in cui Aoun è debitore nei confronti del partito. Egli dirà di aver vinto Nabih Berri a Jezzine, Walid Jumblatt a Baabda, ed il presidente Michel Suleiman a Jbeil, pur senza ammettere apertamente che tutto ciò è avvenuto grazie a Hezbollah.
Cosa ancor più significativa, i risultati elettorali sono stati una sconfitta per la Siria. Essi hanno permesso a Hezbollah di mantenere la propria autonomia dai siriani, i quali avevano sperato di usare le elezioni per riaffermarsi in Libano rispetto all’Iran. Sebbene nessuno dovrebbe seriamente aspettarsi una spaccatura fra Iran e Siria nel prossimo futuro, ai siriani sarebbe piaciuto molto confermare che il Libano appartiene più a loro che a Teheran, soprattutto nel contesto dei loro possibili negoziati con Israele e di un’apertura nei confronti degli Stati Uniti. Questo piano è fallito, e coloro nei quali i siriani avevano riposto le loro speranze – Michel Suleiman, Nabih Berri, Michel Murr e quelli della loro cerchia – sono emersi tutti come i grandi perdenti di queste elezioni. Il nuovo parlamento libanese sarà più amichevole nei confronti della Siria rispetto a quello precedente, ma non sarà in alcun modo il parlamento della Siria. Ironia delle ironie, il regime di Assad dovrà ora guardare a Saad Hariri, non a Suleiman, come al mezzo che può veicolare la normalizzazione dei loro rapporti con il Libano – una normalizzazione che i sauditi certamente incoraggeranno – cosa che dovrebbe dare a Hariri maggiore influenza nel plasmare questo rapporto.
Cosa accadrà ora? Vi è un consenso diffuso all’interno della coalizione del 14 Marzo secondo cui all’opposizione non dovrebbe essere concesso il diritto di veto nel prossimo governo, e il presidente Michel Suleiman, punto sul vivo dalla sfida di Aoun e da ciò che gli ha fatto Hezbollah, potrebbe schierarsi dalla parte della maggioranza a questo proposito. Questa è una buona cosa. Ci attendono settimane di contrattazione per il nuovo governo, ma vi è un messaggio duraturo in queste elezioni: la coalizione del 14 Marzo è stata liquidata troppo presto da troppe persone. Essa potrà non essere la più impressionante delle coalizioni, ma rappresenta il vero centro moderato del Libano – con la sua forza vitale che non è né la resistenza perpetua né il perpetuo risentimento. Il Libano trae beneficio dalla sua vittoria.