giovedì 15 ottobre 2009

Testimonianze di soldati dall’operazione Piombo fuso, Gaza 2009

3 ottobre 2009




Breaking the silence è un’organizzazione di veterani che hanno servito nell’esercito israeliano durante la Seconda Intifada (dal settembre del 2000) e si sono assunti la responsabilità di raccontare al popolo israeliano le situazioni di routine della vita quotidiana nei Territori Occupati, una realtà che non è presente nei media.

Sull’operazione Piombo fuso hanno raccolto una serie di testimonianze in una pubblicazione che si trova qui. Ne ho selezionato dei pezzi, ma andrebbe tradotta integralmente.

Scudi umani 1

Qualche volta l’unità entra mettendo le canne dei fucili sulla spalla di un civile, avanzando nella casa e usandolo come scudo umano. I comandanti hanno detto che queste erano le istruzioni e noi dovevamo farlo…

Scudi umani 2

Erano usati come Johnnies (in un altro punto dell’intervista il testimone ha descritto la procedura Johnny, l’uso di civili palestinesi come scudi umani durante le perquisizioni delle case) e poi rilasciati, e li ritrovavamo in perquisizioni successive.

Fosforo bianco 1

Che cos’era la storia dell’uso di bombe di mortaio al fosforo bianco?

Il comandante della compagnia dà al comandante del plotone che ha il mortaio un obiettivo e gli ordina di fare fuoco.

Che cosa c’era, lo sa?

Un obiettivo. Li definiscono obiettivi. Non so veramente dire cosa fosse. Qualche volta si sentiva alla radio: "Via libera, fosforo nell’aria". Tutto qua. Non mi ricordo se venisse confermato dal comandante della compagnia, ma so anche di un ufficiale che sparò senza chiedere l’autorizzazione.

Perché sparare fosforo?

Perché è divertente. Fantastico.

Professionalmente avete del fosforo da usare contro queste minacce?

Non so a quale scopo sia usato. Ne stavo proprio parlando ieri. Non capisco come queste munizioni siano tra i nostri rifornimenti se poi non dobbiamo usarle. È ridicolo.

Fosforo bianco 2

Poi siamo ritornati a nord, a circa 500 metri dal recinto, e siamo rimasti là di guardia tutta la notte. Non abbiamo visto niente di speciale. Il giorno dopo siamo tornati alla base per prendere nuovi ordini della missione e siamo stati di nuovo assegnati ad un’unità del battaglione *** con cui siamo entrati. Abbiamo camminato con loro sulla spiaggia e abbiamo visto tutte le bombe al fosforo bianco di cui le ho detto, abbiamo visto vetri sulla sabbia.

Può descriverlo? Che cosa ha visto?

Cammini lungo la sabbia e senti questo scricchiolio di qualcosa che viene frantumato. Abbiamo guardato per terra e abbiamo visto delle cose che sembravano frammenti di migliaia di bottiglie di vetro rotte.

Che colore avevano?

Marrone sporco.

Ne ha visto dei resti da altre parti nelle vicinanze?

C’era un’area di circa 200-300 metri quadrati di sabbia vetrosa come quella. Abbiamo capito che veniva dal fosforo bianco ed è stato sconvolgente.

Perché?

Perché durante l’addestramento si impara che il fosforo bianco non si usa, e si impara che non è umano. Si vedono dei film e si vede quello che fa alla gente che ne è colpita, e ti dici "Ecco, è quello che stiamo facendo". Non è quello che mi aspettavo di vedere. Fino a quel momento, avevo pensato di appartenere all’esercito più umano del mondo.

Fosforo bianco 3

Lì è stato senz’altro usato del fosforo bianco, l’ho visto e non ci si può sbagliare, si vedono proprio degli ombrelli infiammati.

Regole di ingaggio 1

Dall’inizio, il comandante della brigata e altri ufficiali ci hanno detto molto chiaramente che ogni movimento imponeva che si sparasse.

Indipendentemente dal tipo di movimento.

Non serve che ti sparino. Basta sospettare che ci sia un movimento, e questo prima di entrare nella nostra area designata. Non mi ricordo se l’abbia detto il comandante di brigata o qualcun altro. Non ne sono sicuro: nessuno dovrebbe essere lì, si spara ad ogni segno di movimento. Queste, essenzialmente, erano le regole di ingaggio. Spara, se vuoi. Se hai paura o se vedi qualcuno, spara.

Anche se non c’è pericolo?

Vuole dire questo, sì. Non si spara solo quando si è minacciati. Si presume di sentirsi costantemente in pericolo, quindi la minaccia è costante e si spara. In realtà nessuno ha detto "sparare comunque" o "sparare a qualsiasi cosa si muova". Ma non ci è stato ordinato di aprire il fuoco solo in caso di minaccia.

Vi sentivate minacciati, entrando?

Sì. Ricevevamo continuamente l’allerta. Il senso di minaccia letteralmente si accumulava in noi. Posso dire questo di noi, eravamo molto spaventati. In realtà non c’era motivo per esserlo, ma ci sentivamo minacciati. Non che sia successo qualcosa che lo giustificasse, ma dall’inizio siamo entrati a Gaza con la paura.

Regole di ingaggio 2

Ha fatto qualche distinzione fra civili e terroristi?

Anche questo è stato detto dopo, non nella stessa conversazione: se si vede qualcosa di sospetto e si spara, meglio colpire un innocente che esitare di colpire un obiettivo nemico. Si usa il proprio giudizio. La prima casa in cui siamo entrati non conteneva un singolo nemico. Abbiamo sparato alle finestre e non c’è stata reazione. Così siamo entrati nel modo in cui generalmente entriamo in una casa a Hebron: entriamo, chiediamo al proprietario di aprire, raduniamo tutti i maschi, li incateniamo, raccogliamo tutta la famiglia in una stanza e iniziamo a perquisire la casa. Questo normalmente in guerra non si fa.

Regole di ingaggio 3

Prosegua e chieda ai soldati quanto spesso hanno incontrato combattenti a Gaza – niente.

Quando siete entrati nella striscia di Gaza non c’era resistenza?

Quasi per niente.

Quali erano le regole di ingaggio? Portavate armi leggere?

Sì. Prima di tutto, ovunque non ci siano le nostre forze, si è esposti al fuoco. Tutto è una minaccia. Non esiste qualcosa come una procedura di arresto dei sospetti. Se individuo un sospetto, se è una minaccia per me, sparo.

Demolizioni

C’era una moschea, e non entrerò in tutti quei resoconti tradizionali sui motivi per cui c’era ancora una moschea, quelli sono per la discussione interna. Ma nel complesso, la maggior parte delle mosche è stata distrutta.

Unità rabbinica

C’erano rabbini dell’esercito che venivano e pregavano e ci davano un sacco di sostegno morale… dentro la zona, i rabbini vengono a parlarti. Un rabbino è stato portato in una casa ed era tutto eccitato per essere stato fuori sul campo con i combattenti e indossava un giubbotto protettivo di ceramica per la prima volta in 30 anni e sedeva con gli uomini a chiacchierare. Avevamo anche dei libretti editi dall’unità rabbinica con dei saggi.

Che cosa contenevano?

Saggi sull’operazione, l’importanza di servire il Popolo di Israele che è stato perseguitato in tutti questi anni e ora è ritornato nel suo Paese e deve combattere per esso. Tutti i noti clichés che mettono questo in relazione all’Olocausto e la difesa di Dio e anche perché è Gaza e il nesso con gli insediamenti evacuati di Katif, e qui stiamo ritornando nella zona di Katif, a Netzarim.

Una scala completamente diversa

Lei ha servito nell’esercito a Gaza per anni, è stata una distruzione in qualche modo simile a quelle che ha conosciuto prima?

No, nel modo più assoluto. Si è trattato di una scala completamente diversa. Questa è stata una potenza di fuoco come non ne ho mai conosciuto. Non posso dire che quando ero a Gaza non si fosse usata l’aviazione. Ma no, la terra non tremava di continuo. Voglio dire, c’erano tutto il tempo esplosioni. Se fossero lontane o vicine, questa è già semantica. Ma la nostra sensazione di fondo era che la terra tremasse costantemente. Si sentivano tutto il giorno esplosioni, la notte era piena di bagliori, un’intensità che non avevo mai provato prima. Molti bulldozer D-9 operavano 24 ore su 24, erano costantemente occupati. Questa è stata una scala di intensità molto diversa da quelle conosciute prima. Molto più grande… Guardi, quando ci sparavano, non vedevamo veramente il nemico con i nostri occhi. D’altra parte, ci sparavano e noi rispondevamo al fuoco verso punti sospetti. Che cos’è un punto sospetto? Significa che decidevi che era sospetto e potevi riversargli addosso tutta la tua rabbia.

sabato 3 ottobre 2009

Ricordi da El Khiam, il carcere israeliano nel Libano del sud

di Enrico Campofreda
Terra, 30 settembre 2009

Uscendo dal cubo rosso una scatola di ferro alta non più di cinquanta centimetri e profonda anche meno dove stava accucciato, spesso nudo, con le mani legate dietro la schiena e nelle orecchie le martellate che il giovane militare israeliano di guardia aveva l’ordine di cadenzare per ore, minuto dopo minuto - se la testa gli reggeva il “terrorista” poteva guardare l’orizzonte, verso la Palestina soggiogata. È la prigione di El Khiam, Libano del sud, che dalla liberazione del maggio 2000 un cartello avverte essere aperta. Aperta per le visite, malgrado durante la guerra dei 34 giorni del 2006 l’aviazione israeliana, bombardando il luogo, abbia provato a cancellare le tracce della sua vergogna.

El Khiam nasce dopo che, nel marzo 1978 durante il primo tentativo d’annessione dello Stato libanese, le forze armate israeliane penetrarono per decine di chilometri nel territorio meridionale ben oltre il fiume Litani. Trovava l’appoggio delle truppe dell’Els, l’esercito locale collaborazionista comandato dal maggiore Haddad, reo nell’82 d’aver affiancato i falangisti nei massacri di Sabra e Shatila. Con le successive fasi del conflitto nei primi anni Ottanta a El Khiam fu istituito un luogo di detenzione e tortura, dove sono passati migliaia di resistenti palestinesi, libanesi e semplici civili. La tortura del cubo era una delle meno cruente. C’erano quella del palo al quale venivano appesi a testa in giù i prigionieri, nudi sia in estate che in inverno, per esser presi a calci o percossi dai soldati mentre il corpo dondolava. C’erano le immancabili botte, i ferri, i getti d’acqua bollente o gelata, le ferite ricoperte di sale e limone, l’inibizione del sonno.

Un Abu Ghraib ante litteram, anche se le torture sono un vecchio, vecchissimo armamentario di qualsiasi Stato canaglia. Racconta un militante di Hezbollah, qui detenuto per quattro anni, che ora fa da guida nel luogo “chi arriva ha la possibilità di vedere il traliccio dove i prigionieri venivano appesi a testa in giù con gli occhi bendati ma possiamo solo raccontare dei corpi bagnati cui venivano inferte le scariche elettriche o quelli minacciati, quasi a contatto di morso, dal ringhiare sinistro dei cani. Le pressioni psicologiche non erano da meno: gli israeliani portavano qui le nostre donne prese dai villaggi, ce le denudavano davanti e c’intimavano di riferire dove si nascondevano i nostri compagni di lotta se non volevamo vederle violentate. Purtroppo ci furono anche stupri in questo luogo maledetto”.

Fino al 2000 qui sono passati cinquemila prigionieri di cui quattrocento donne, con una presenza continuativa di centocinquanta persone. “Nel giorno della liberazione eravamo 144. Non c’era nessuna distinzione fra adulti e minorenni, dividevo la cella con un ragazzo tredicenne, un vecchio di 77 anni e sua moglie di 74, incarcerati solo per il sospetto che vicino casa si potesse essere nascosto qualcuno della resistenza. Gli israeliani offrivano denaro a chi tradiva e li appoggiava, più o meno 5 mila dollari, e hanno trovato naturalmente in più occasione qualcuno disposto ad aiutarli. Queste persone dopo la liberazione hanno potuto godere dell’amnistia che è stata concessa, eppure noi ex prigionieri non abbiamo provato alcun desiderio di vendetta. La Croce rossa internazionale è riuscita a entrare per la prima volta a El Khiam nel 1995, cercando di apportare migliorie alle strutture, perché era ben nota la durezza delle condizioni riservate ai detenuti. Chi si trovava fra queste mura veniva considerato un disperso, con pochissime possibilità di uscirne vivo”.

Dalla fine dell’occupazione delle forze armate israeliane e della dissoluzione dell’esercito fantoccio di Haddad (guidato dall’84 dal generale Lahad e che, nonostante reclutasse anche fra gli sciiti locali, non sarebbe rimasto in vita un giorno senza il supporto d’Israele) questa prigione, per volontà di Hezbollah, è diventata una meta di memoria e turismo politico. Il Partito di Dio ha incaricato un gruppo di ex detenuti di occuparsene.

Loro, organizzati in comitato, hanno istituito un percorso guidato che spiega ai visitatori le brutalità perpetrate in questo luogo per quasi un ventennio. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di studenti e stranieri interessati ai risvolti storico-sociali del Paese. La parziale distruzione israeliana di tre anni fa ha ridefinito l’iniziale progetto ma non ne ha modificato la finalità. Che prevede una parziale ricostruzione di alcune celle danneggiate, mantenendo però intatte le macerie che ricoprono i diversi blocchi bombardati. Sono già stati predisposti pannelli esterni e piccole sale con fotografie e reperti che illustrano la fondamentale funzione giocata dalla resistenza, cavallo di battaglia del partito di Nasrallah per un Libano libero da nuove occupazioni.

martedì 29 settembre 2009

Libano: La ricostruzione di Nahr al Bared in un limbo

27 settembre 2009

Dalla fine di Agosto, nel campo profughi palestinese di Nahe al Bared, le macchine per la ricostruzione sono ferme. Il Consiglio di Stato Libanese si è concesso due mesi di moratoria sulla ricostruzione del campo distrutto.Nahr al-Bared, il più a nord dei 12 campi profughi palestinesi in Libano, è stato completamente distrutto durante una lunga battaglia estiva nel 2007.Nonostante il progetto pilota per la ricostruzione del campo sia pronto già dall’inizio del 2008 e approvato dal Governo Libanese, l’inizio dei lavori è stato rimandato di volta in volta. Quando nella primavera del 2009 è stato scoperto un sito archeologico sotto alle macerie del campo, quasi nessuno tra i profughi ha creduto alla notizia. Negli ultimi due anni, infatti si sono sentite troppe – spesso deboli – giustificazioni sui ripetuti ritardi della ricostruzione.Tuttavia, Ia scoperta archeologica, ha dimostrato di essere un fatto e il Direttorato Generale Libanese per le Antichità (DGA) è stato coinvolto. La soluzione è stata trovata assieme all’UNRWA (UN Works and Relief Agency for Palestine Refugees) e all’ufficio responsabile del Primo Ministro Libanese: Prima che il materiale venga caricato sui containers, le buche ricoperte di cemento e prima che vengano gettate le fondamenta, il DGA potrà scavare e documentare i ritrovamenti archeologici.Alla fine di Giugno, la maggior parte dei profughi non poteva credere ai propri occhi – i lavori di ricostruzione a Nahr al Bared erano finalmente iniziati. Il progetto pilota era partito con l’allestimento dei lavori che iniziarono con la Fase 1. In accordo con l’UNRWA, i lavori di riempimento degli scavi in questa Fase, dovevano terminare verso la fine di Agosto e i lavori di copertura con il cemento stavano quasi per cominciare, quando all’UNRWA è stato ordinato lo stop dei lavori da parte del Governo Libanese.Cos’era successo? Già in primavera il Leader del movimento d’opposizione "Free Patriotic Movement", Michel Aoun, aveva redatto un appello contro la decisione del governo relativa alla copertura degli scavi nel campo. Il 18 agosto, il Consiglio di Stato concedeva una moratoria provvisoria. Una decisione definitiva si attende per Ottobre.Il 31 Agosto, migliaia di abitanti di Nahr Al Bared hanno reagito al blocco dei lavori con una manifestazione di massa all’ingresso del cantiere di ricostruzione e proteste si sono tenute in vari campi profughi del Libano. Le critiche non erano rivolte solo allo stop dei lavori ma anche contro l’assedio che isola il campo, i suoi residenti e le attività commerciali dal mondo esterno. Il 16 settembre, i profughi hanno portato la protesta nelle strade della città di Tripoli, nel nord del Libano. La protesta ha visto anche la partecipazione di simpatizzanti libanesi.Rappresentanti del Comitato per la Ricostruzione di nahr Al Bared, accusano i politici libanesi di usare ancora una volta i ritrovamenti archeologici per guadagnare voti. Il Comitato punta a complementare il discorso chiedendo la trasformazione del sito archeologico in sito turistico.Negli ultimi due anni, le proteste degli abitanti si sono limitate a manifestazione non provocatorie e a semplici presidi. La precauzione è dovuta alla memoria ancora vivida sulla manifestazione della fine di Giugno del 2007, quando 3 manifestanti furono colpiti a morte da proiettili e molti altri rimasero feriti. In una conferenza stampa, gli attivisti di Nahr Al Bared hanno accennato al lancio di una serie di azioni di protesta non violente ma crescenti, tra le quali un importante boicottaggio dei permessi d’ingresso rilasciati e controllati dall’ Esercito Libanese.Ray Smit è un attivista del collettivo mediatico anarchico a-films. Il collettivo ha lavorato a Nahr al Bared durante gli ultimi due anni e ha girato circa una dozzina di cortometraggi su campo pubblicati sul suo sito: website. Author : Ray Smith *

sabato 26 settembre 2009

RILASCIARNE UNO E " DIMENTICARNE UNDICIMILA"

Giovedì 17 settembre è stata consegnata questa lettera aperta al Presidente del Senato ed ai senatori presenti, tutti gli altri l'hanno poi ricevuta con il servizio postale .

I movimenti, le associazioni e le persone che condividono questo appello possono sottoscriverlo inviando una mail a: presidente@perilbenecomune.net

oppure scrivendo a: Per il Bene Comune, Piaz.le Stazione 15, 44100 Ferrara – tel./fax. 0532.52.148
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La lettera inviata ai senatori:

Signor Presidente del Senato, Signori Senatori della Repubblica,

abbiamo registrato con sorpresa la notizia che il Senato ha approvato una risoluzione che chiede il rilascio di un soldato di Israele, catturato mentre partecipava ad una operazione militare ordinata per “perlustrare” un villaggio della striscia di Gaza.

Sorprende che tale presa di posizione non abbia nemmeno accennato agli oltre 11.000 (undicimila) palestinesi rapiti e illegalmente imprigionati dall’esercito e dalle autorità d’occupazione israeliane, ben sapendo che tra queste ci sono anche il Presidente della Assemblea Nazionale (Parlamento) e oltre cinquanta sindaci e dirigenti politici palestinesi, tra cui 21 parlamentari.

Confidando sulla adesione del Senato della Repubblica alla Carta Universale dei diritti dell’Uomo e sull’indipendenza sua e degli attuali senatori dalle pressioni della lobby filo sionista, noi facciamo appello a lei ed a tutti i senatori affinché venga posto un rimedio a tale “dimenticanza”, assumendo una posizione più giusta, equilibrata e dignitosa, in cui venga chiesto alle autorità civili e militari di Israele:

di rispettare le 72 (settantadue) risoluzioni e le deliberazioni dell’ONU sin qui ignorate;

di porre fine alla occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina e del Golan;

di liberare i colleghi parlamentari palestinesi che sono stati rapiti;

di liberare tutti i prigionieri da anni in carcere senza processo e colpevoli unicamente di non gradire l’occupazione militare della propria terra;

di fare piena luce sul traffico d’organi che avviene dopo le morti “accidentali” dei prigionieri.

Fernando Rossi
Senatore della XV Legislatura
Lista Civica Nazionale Per il Bene Comune

Visita il sito: www.perilbenecomune.net

mercoledì 23 settembre 2009

“Dopo la pubblicazione del rapporto dell’ Onuper i fatti avvenuti a Gaza: Israele al Tribunale per i crimini di guerra!”

22 settembre


pubblicazione del rapporto dell’Onu per l’accertamento dei fatti sul conflitto di Gaza è un passo importante, a condizione che abbia un seguito. Esso è importante anzitutto per la sicurezza pubblica internazionale: durante i due decenni del predominio dei neo-conservatori negli Stati Uniti, abbiamo assistito agli sforzi congiunti della casa Bianca e di Israele per vanificare le norme del diritto internazionale. Possiamo ricordare lo stupido commento di George W. Bush: egli, nella cornice della guerra globale al terrorismo sostenne che era essenziale annullare le limitazioni poste ai combattenti dalla Convenzione di Ginevra.E Israele, già nei primi anni ’70 aveva deciso che la Quarta Convenzione di Ginevra non era applicabile nei Territori Occupati.Il rapporto, e prima di questo il parere consultivo della Corte Internazionale sulle Conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, ricorda al mondo che la lezione dell’epoca nazista non è stata dimenticata e che il mondo non è una giungla in cui predomina la forza, ma una comunità civilizzata che si sforza di agire secondo le leggi internazionali che proteggono i fondamentali diritti degli esseri umani. E per coloro che obiettano, giustamente, che queste norme internazionali sono violate ogni giorno dalla maggioranza dei Paesi del mondo, noi dobbiamo rispondere che è meglio che ci siano norme e leggi che proteggono i più deboli, anche se non sono generalmente rispettate, che vivere in una società senza leggi che permette al più forte di fare ciò che vuole.Le risposte dei leader israeliani erano prevedibili: "rapporto prevenuto" " approccio unilaterale", e " noi abbiamo sempre saputo che Goldstone è antisemita…. o un Ebreo che odia se stesso".A capo di questa campagna sta, e non poteva essere altrimenti, Ehud Barak, che ha dichiarato che "questo rapporto non solo premia il terrorismo, ma addirittura lo incoraggia" . Barak ha aggiunto che il Ministro della Difesa assicurerà la consulenza legale a quegli ufficiali contro i quali fossero avviati procedimenti legali.In base ai regolamenti della legge internazionale si suppone che le conclusioni del rapporto saranno ora discusse nel Consiglio per i Diritti Umani e poi nel Consiglio di Sicurezza, che potrebbe poi trasferirle alla Corte Internazionale dell’Aja o a una Corte internazionale speciale, cosicché coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra possano essere processati e se ritenuti colpevoli condannati a stare dietro le sbarre per molti anni. In ogni modo, questa stessa legge internazionale ha previsto dei privilegi per le grandi potenze, cioè il potere di veto.La diplomazia israeliana concentrerà immediatamente i propri sforzi nel convincere alcune di queste potenze a porre il veto e togliere Israele dai guai. E soprattutto farà pressioni sulla casa Bianca.Così è arrivata la vera prova per Barack Obama : nessuna dichiarazione su "la pace entro due anni" e "il diritto dei palestinesi a uno stato", ma al momento una trattativa con politiche concrete che contraddicono i valori che egli sostiene e con chiare esortazioni a adire alle vie legali.Barack deciderà se al sistema delle leggi internazionali sarà permesso di fare ciò che ci si aspetta da esse . Con mio dispiacere, io scommetto che lui starà con Israele, cioè, che gli Stati Uniti useranno il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Comunque, il veto americano non porrà fine alla storia: numerosi Paesi nel mondo hanno adottato leggi che permettono loro di giudicare persone accusate di crimini di guerra contro l’umanità.Sta a noi, donne e uomini, in Israele e all’estero, che temono per la sicurezza pubblica internazionale e le leggi internazionali, il compito di unire le forze per porre a questi criminali di guerra il dilemma: rischiare di essere processati se vengono trovati in paesi il cui la legge lo permette, o rimanere chiusi in Israele, abbandonando l’idea di fare turismo in Spagna o un anno sabbatico nel Regno Unito.Come è accaduto al precedente comandante delle forze aeree israeliane che è stato costretto a rimanere dentro l’aereo all’aeroporto di Londra, quando seppe dell’ordine di detenzione che lo aspettava se avesse messo piede in Gran Bretagna.La creazione di un "Osservatorio sui crimini di guerra israeliani" può essere uno dei contributi della società civile per dar seguito al rapporto dell’ ONU , in aggiunta alla raccolta del rilevante materiale e delle testimonianze sulle azioni militari di Israele a Gaza , e al monitoraggio dei movimenti di coloro che sono sospettati di crimini di guerra.

lunedì 21 settembre 2009

Sono oltre 8mila i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, rapporto

18 settembre 2009Attualmente il numero di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane si aggira attorno alle 8200 unità, di cui 51 donne e 326 minorenni. 398 sono i prigionieri sottoposti a detenzione amministrativa e 2151 quelli in arresto temporaneo, perché in attesa di processo.È quanto emerge da un rapporto elaborato dal ministero per gli Affari dei detenuti del governo palestinese, ripreso in questi giorni dal quotidiano panarabo Dar al-Hayat.Gli oltre ottomila palestinesi – afferma il rapporto - sono reclusi in una ventina di prigioni e centri di detenzione, dove vivono in "condizioni disumane".La detenzione non ha limiti in termini di sesso ed età, ma riguarda indistintamente uomini e donne, anziani e bambini. "Dal 1976 a oggi – si legge nel documento - le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 750mila palestinesi; tra questi 12mila donne e decine di migliaia di bambini".Arrivando a tempi più recenti, il rapporto afferma che "dall’inizio dell’intifada di al-Aqsa, il 28 settembre 2000, gli arresti sono stati 69mila, tra cui 800 donne e 7.800 bambini. […] 197 prigionieri sono deceduti in carcere per negligenza medica, torture, assassinio premeditato, o perché percossi o feriti nei carceri di isolamento".

venerdì 18 settembre 2009

Un’infrastruttura di terrorismo ebraico





Durante alcuni dei mesi trascorsi, la questione delle colonie è stata al primo posto dell’ordine del giorno generale, con la scena politica israeliana in fermento di fronte ai colloqui tra il governo israeliano e l’inviato dell’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Barak Obama per un "congelamento" dei lavori di costruzione nelle colonie della West Bank e a Gerusalemme Est. Al tempo stesso, membri della Knesset hanno fatto il giro degli avamposti e delle colonie della West Bank, rilasciando dichiarazioni sulla legalità o illegalità dei luoghi da loro visitati.In vista dell’intensa discussione in corso, sia a livello locale che a livello internazionale, è importante ricordare che la questione della "legalità" delle colonie non è semplicemente un labile tecnicismo che può essere risolto con un tratto di penna. Intanto, secondo il diritto internazionale tutti gli avamposti e le colonie nella West Bank sono illegali. Ma perfino la legislazione israeliana nella sua visione più basilare, vieta alcune delle iniziative che sono state messe in atto per "legalizzare" queste comunità. La confisca delle terre palestinesi è un problema cruciale, quello che mette in evidenza la contraddizione di Israele che sostiene di essere uno stato che opera nel rispetto delle norme del diritto, che rispetta i diritti individuali e protegge il debole dalla violenza dello sfruttamento.Fin dal primo inizio dell’impresa della colonizzazione, più di quarant’anni fa, Israele ha espropriato le terre della West Bank secondo un metodo ben progettato, sistematico e violento. Le vittime di questo meccanismo perdono i loro campi coltivati ed in tal modo anche la possibilità di condurre una vita normale. La loro fonte di reddito è compromessa, tanto da portare spesso alla diffusione di povertà e stenti.Le operazioni in corso negli ultimi dieci anni, ad esempio, con le quali i coloni di Eli, a nord di Ramallah, hanno preso possesso di un certo numero di colline che circondano il nucleo coloniale originario, hanno compromesso seriamente la facoltà dei palestinesi dei villaggi vicini di Qaryut, Luban al-Sharqiyah e Al-Sawiyah di poter raggiungere le migliaia di dunum di terreno dei quali essi sono proprietari e dai quali dipendono per la loro sussistenza. Persino laddove hanno ancora una sia pur minima possibilità di accesso (solitamente per due o tre giorni all’anno, nel periodo della raccolta delle olive) i loro prodotti vengono rovinati, i contadini vengono aggrediti fisicamente ed essi sono semplicemente impossibilitati ad occuparsi in maniera adeguata dei loro raccolti.Contrariamente all’impressione creata in Israele dalle cronache riportate dai mezzi di informazione, questi incidenti che si verificano solo nei dintorni delle colonie che hanno la reputazione di essere particolarmente radicali o estremiste, non sono isolati e non correlati tra loro. Piuttosto, si tratta di una campagna ben coordinata, che si svolge contemporaneamente in tutta la West Bank, da Hebron, nel sud, a Nablus, nel nord. Se si guarda una mappa di tutti i luoghi dove sono avvenuti incidenti di questo tipo, diventa evidente la strategia generale: il trasferimento dei palestinesi che vi sono rimasti dall’Area C (com’è stata definita dagli accordi di Oslo), la quale costituisce il 60% della West Bank e che è sotto il controllo totale di Israele.In anni recenti, volontari di Yesh Din hanno raccolto le testimonianze rilasciate da dozzine di palestinesi ai quali è stato impedito di poter raggiungere i loro terreni prossimi ad alcune colonie ed avamposti con mezzi diversi dalla sola barriera di separazione.

Le loro relazioni fanno vedere che in molte occasioni i contadini palestinesi sono cacciati fuori di forza. In altri casi, essi possono farcela a raggiungere le loro coltivazioni incolumi, solo per scoprire che i loro raccolti sono stati incendiati, estirpati o danneggiati in qualche altro modo dai coloni.Questi soprusi possono non rappresentare la politica ufficiale di Israele, ma lo stato fa poco per impedirli. Nella smisurata maggioranza dei casi nei quali le vittime di violenze hanno sporto denuncie, la polizia – che, dopo tutto, in molti casi è costituita da israeliani ebrei i quali, talvolta, sono essi stessi residenti di colonie – chiude i casi senza aver emesso incriminazioni e, in molti casi, perfino senza aver condotto indagini accurate ed esaustive. Ciò porta a un’ovvia conclusione: la confisca sistematica delle terre e le violazioni della legge si verificano perché le autorità legali si voltano dall’altra parte e permettono che incidenti di questo tipo accadano.Il problema comincia con i soldati sul campo, che non trattengono i criminali violenti, e termina con l’azione giudiziaria della polizia e dello stato che non sono capaci di applicare tutta la forza della legge per reprimere i colpevoli.Nella West Bank, si sta creando una infrastruttura di terrorismo ebraico. Tramite una politica che loro hanno soprannominato dello "scontrino del prezzo", i coloni hanno dichiarato di aver l’intenzione di aggredire palestinesi innocenti in risposta alla percezione di una qualsiasi minaccia nei confronti di una colonia o di un avamposto, sia essa verbale o fisica. Tutto ciò rappresenta solo la conclusione estrema, aneddotica e intransigente, di questa infrastruttura. Praticando l’intimidazione e le sistematiche violazioni della legge, il fine ultimo dei coloni che applicano questa politica consiste nell’usurpare terra sempre di più. A sua volta, questo danneggia la sussistenza, la proprietà e il benessere di decine di migliaia di palestinesi.Quei difensori del movimento dei coloni che sostengono che, in una democrazia, gli ebrei dovrebbero poter vivere in ogni luogo della Terra d’Israele, non riescono a riconoscere che lo stato sta permettendo che si sbriciolino i principi fondamentali della democrazia con il metterli nelle mani di violenti integralisti. Si dovrebbe implementare la difesa della proprietà privata, in quanto norma assoluta e quindi non relativa, senza piegarsi a favorire l’usurpazione delle terra da parte di gangster.Roi Maor è direttore generale di Yesh Din: Volontari per i Diritti UmaniDror Etkes è direttore del Progetto Terre di Yesh Din

IL MASSACRO DEI CIVILI MUSUMANI è SEMPRE AUTODIFESA, NON è MAI TERRORISMO

L’asse anglo-americano-israeliano continua a gabellare attraverso tutti i suoi mezzi di informazione l’assassinio dei civili musulmani come derivante da autodifesa. Qualsiasi osservatore imparziale che abbia visto i massacri in Irak, nel Libano, e ora a Gaza, giungerebbe a ben diverse conclusioni, perché chi siano quelli che vengono terrorizzati e massacrati risulta ovvio. È naturale che le orrende immagini di Gaza abbiano fatto scendere per strada in tutto il mondo folle di gente che protestava, cosa senza precedenti nella nostra storia recente.
Ma è disgustoso vedere come i commentatori filo-israeliani abbiano la 'chutzpah' [sfacciataggine, in ebraico] di sostenere che Israele abbia il più elevato livello morale proprio mentre nei campi di concentramento di Gaza essa sta commettendo assassinii di massa. E l’autentica barbarie mostrata da Israele ha il pieno appoggio dei governi americano e britannico. La maggior parte degli israeliani non prova alcun rimorso nell’uccidere dei 'gentili’. Negli Stati Uniti si possono vedere degli ebrei filo-israeliani che festeggiano i bagni di sangue, ma della barbarie israeliana tratterò più tardi in dettaglio. Vi è anche una tacita approvazione di questo massacri da parte di alcuni regimi arabi, stando al loro silenzio e alla loro inerzia.
Come esempio di vera democrazia, Israele e gli Stati Uniti ignorano completamente tanto le proteste di massa, quanto la Risoluzione 1860 emessa [l’8 Gennaio 2009] dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite ["immediata e durevole cessazione del fuoco a Gaza e ritiro totale delle forze israeliane, libera fornitura di cibo, combustibile e assistenza sanitaria, accordi internazionali contro il contrabbando di armi e munizioni…"], la quale riflette l’opinione della grande maggioranza della popolazione mondiale. Infatti il voto fu unanime: 142 a favore, 4 contro, e 8 astensioni. Cosicché le democrazie avrebbero costituito il Consiglio di Sicurezza per dar modo alle Nazioni Unite di agire nell’interesse di questa minuscola minoranza!
Il presidente dell’assemblea, il nicaraguegno Miguel d'Escoto Brockmann, così si espresse :
"Le violazioni del diritto internazionale in merito all’attacco di Gaza sono state ben documentate: punizione collettiva; uso sproporzionato di forza militare; attacco a bersagli civili, fra cui case, moschee, università e scuole."
Egli mise anche in rilievo la natura ingrata dello stato ebraico col dire:
"Trovo ironico che Israele, uno stato che più di ogni altro deve la sua stessa esistenza ad una Risoluzione della Assemblea Generale (1948) disprezzi poi tanto le Risoluzioni delle Nazioni Unite… "
Sul fatto che Israele abbia commesso a Gaza dei crimini di guerra vi è consenso generale e vi furono richieste di ulteriore investigazione. Se solo una piccola parte di questi crimini fosse stata commessa da un paese musulmano, sarebbero subito stati mandati ad eseguire bombardamenti i soldati degli Stati Uniti, e non i caschi blu delle Nazioni Unite.
Israele sa che il mondo sta diventando insensibile allo spargimento di sangue musulmano, perché è facile giustificare delle uccisioni su scala di massa quando una popolazione è stata precedentemente demonizzata. Ciò suona familiare; infatti è la stessa tattica usata dai Nazisti. Le loro vittime hanno imparato bene la lezione dalla esperienza del loro olocausto! Infatti, la faccenda di spacciare e sfruttare l’olocausto continua fino ad oggi
In Palestina non c’è petrolio: vi è soltanto olio d’oliva, e questo spiega perché l’organizzazione pilotata dagli Stati Uniti denominata Nazioni Unite è paralizzata. Va ricordato che già nel 1991 la cosiddetta comunità mondiale della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti si mosse per salvare i 'poveri’ kuwaitiani da Saddam Hussein, come se si trattasse di una crociata morale per far trionfare la giustizia e il diritto internazionale, senza avere a che vedere col petrolio.
I sionisti eccellono non soltanto nell’ammazzare uomini e bambini indifesi, ma anche nella propaganda a ciò relativa. Essi dispongono in abbondanza di soldi, influenza, e risorse, con l’ulteriore vantaggio di sapere che gli arabi useranno il loro danaro del petrolio solo per costruire più centri commerciali per comodo di compagnie sioniste come la Starbucks, la Marks e la Spencer.
Nella loro propaganda i sionisti ripetono frequentemente alcuni punti, senza troppo badare a loro valore effettivo , trattandosi di un uditorio di così scarsa qualità come le masse docili e ignoranti degli Stati Uniti. I punti che la propaganda dei sionisti va continuamente diffondendo, e che i mezzi di informazione amplificano, sono i seguenti:
a) Ripetono continuamente che Hamas è un’organizzazione terrorista e non un corpo democraticamente eletto. L’etichetta di terrorista viene applicata senza considerare chi venga effettivamente terrorizzato e massacrato. La 'logica’ sottintesa è che le armi di Hamas spargono il terrore, ma quelle americano-israeliane no! In realtà sono però Hamas e i palestinesi che dal 1948 vengono terrorizzati e massacrati. Ecco l’ironia: Hamas, che difende le loro case, è considerata terrorista, e gli ebrei di importazione che si sono 'sistemati’ su terre rubate, sono vittime innocenti.
b) Per contrapposto, Israele non è minimamente uno stato terrorista, quali che siano il terrore e le carneficine che essa causa e quante donne e quanti bambini ammazzi. Al contrario, in occidente Israele viene spesso esaltata come 'la unica democrazia del Medio Oriente’, nonostante che abbia le evidenti caratteristiche di uno stato a discriminazione razziale. Ciò implica che gli arabi sono troppo incivili per essere democratici.
c) Hamas viene descritta come un aggressore belligerante per aver lanciato 'migliaia di missili micidiali’. In realtà si tratta di qualche missile di fabbricazione domestica che fece un numero di vittime irrisorio in paragone con quanto avviene a Gaza. Fa quindi comodo parlare di 'migliaia di missili lanciati da Gaza’, perché sarebbe troppo imbarazzante giustificare l’uccisione di mille palestinesi contro quella di una manciata di ebrei, specialmente da parte di una nazione che sostiene il noto principio etico 'occhio per occhio – dente per dente’.
d) Come al solito, è il 'debole’ e 'vulnerabile’ Israele che si difende, come gli Stati Uniti si difendevano dal poderoso Saddam Hussein armato delle sue 'Armi di Distruzione di Massa’! Del continuo assedio imposto da Israele su Gaza e della rottura della tregua a Novembre non si fa parola. La storia comincia - opportunamente - mostrando Israele come una vittima innocente che agisce per autodifesa. Secondo il senso comune, autodifesa significa respingere un nemico che avanza, cioè che la minaccia è vera e operante, e non i pochi razzi fatti in casa che Hamas lanciò per rappresaglia contro il persistente asservimento dei palestinesi.
e) La pretesa fantastica più recente è che Hamas ha detto che è lì per uccidere ogni ebreo, e qui entra in ballo di nuovo lo sfruttamento del famoso 'olocausto’: Israele si troverebbe ancora una volta di fronte alla minaccia di un totale annientamento. Ammesso pure che Hamas lo abbia detto, non è questo un risultato della barbarie israeliana? Israele deve ricordare che un giorno le vittime di Gaza potranno essere vendicate, e con una punizione collettiva.
L’entità sionista ha mostrato la sua barbarie prima a Sabra e a Shatila, a Qana e a Jenin. A Gaza essa ha fatto un passo avanti, e non si tratta solo dell’uccisione di civili innocenti. In un’intervista sul Canale 4 venne chiesto a Mark Regev, il portavoce del Primo Ministro di Israele, perché le Forze di Difesa Israeliane avevano impedito per tre giorni alla Croce Rossa di raggiungere a Gaza i morti e i feriti civili. Gli venne anche chiesto, specificamente, perché era stato negato l’aiuto della Croce Rossa ai bambini morenti di fame che aspettavano un po’ di cibo accanto ai cadaveri delle loro mamme, cosa della quale nella propaganda non si parla. Al personale della Croce Rossa venne alfine concesso di recarsi, a piedi, presso le vittime distanti un miglio. Un simile comportamento è disgustoso da parte di persone che agitano continuamente la bandiera dell’olocausto e gridano di essere state delle vittime. Se pure è vero che abbiano sofferto tanto, dovrebbero almeno comportarsi come esseri umani, e non come delle bestie.

Per non dimenticare Sabra e Chatila!




I Massacri di Sabra e Shatila15 settembre 2009Ventisette anni fa, tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo di Palestina ed il mondo intero, furono colpiti da un orrendo crimine: i sanguinosi massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in Libano.A Sabra e Shatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre. Furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut. Noi ora leviamo le nostre voci in onore di quei nostri martiri che morirono lottando per la nostra libertà nei campi di Sabra e Shatila e per la loro continua dedizione per la giustizia e la libertà.Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa ed oggi primo ministro dello stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi. A questo punto, Sharon ha ordinato l’entrata a Sabra e Shatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti, e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano. Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, che continua tutt’oggi il suo brutale massacro di Palestinesi.Le radici del massacro di Sabra e Shatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione della nostra terra.

I Palestinesi furono costretti a riparare in campi profughi sparsi in tutta la nazione Araba, gli furono negati i loro diritti e la loro identità, e furono le vittime designate dello sterminio di una nazioneDal 1948, i Palestinesi sono stati dappertutto oggetto di attacchi alle loro vite, ai loro diritti e vivono sotto costanti e barbare aggressioni; i crimini di guerra ed il massacro di Sabra e Shatila è solo uno dei più terribili esempi.Comunque, i massacri non sono finiti il 18 settembre 1982; non si sono mai fermati e continuano tutt’oggi. Ed i crimini continueranno fino a che non verrà realizzata la vera giustizia e la liberazione per tutti i rifugiati palestinesi con il riconoscimento del diritto a ritornare nelle proprie case e terre, e finché non verranno realizzati i diritti alla liberazione nazionale, alla sovranità e all’autodeterminazione.L’unica difesa per i rifugiati palestinesi è l’esercizio del loro fondamentale diritto al ritorno. Le migliaia di assassinati nei campi di Sabra e Shatila sono morti lottando per quel diritto, e quello è un diritto che ancora oggi è vitale e fondamentale per i Palestinesi.Sì, il sangue ed il massacro di Sabra e Shatila sono i crimini di Ariel Sharon; ma rappresentano di più di un crimine di un solo individuo.Sono i crimini del Sionismo, i crimini dell’entità Sionista ed i crimini del progetto Sionista basato sull’espulsione e lo sterminio del popolo palestinese. Quindi nello stesso momento in cui Ariel Sharon è un criminale di guerra, lo sono anche Ehud Barak, Benjamin Netanyahu, Shimon Peers, Yitzhak Rabin, Yitzhak Shamir, Menachem Begin, Golda Meir, ed ogni altra persona coinvolta in quel progetto razzista di sterminio ed oppressione. La sola esistenza dell’entità Sionista in Palestina è un crimine di guerra; è basata sul massacro continuo e sull’espropriazione dei Palestinesi, la rapina e lo sfruttamento continuo delle loro risorse, e la colonizzazione continua della loro terra.Inoltre, i crimini del Sionismo, in quanto progetto di insediamento coloniale, fanno parte dei crimini commessi dall’imperialismo degli Stati Uniti nella nazione Araba ed in tutto il mondo. Così come i Sionisti ed i loro seguaci devastarono Sabra e Shatila, gli Stati Uniti ed i suoi seguaci hanno devastato Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Angola, Mozambico, Cambogia e molte altre nazioni – nel loro piano di conquista di potere, controllo e risorse.L’invasione Sionista del Libano ebbe la piena approvazione ed appoggio degli USA; oggi, l’entità Sionista riceve miliardi di dollari ogni anno dal governo degli USA, e continua la sua aggressione furiosa contro il popolo palestinese col patrocinio dell’imperialismo USA. Nello stesso tempo gli Stati Uniti occupano, opprimono e terrorizzano il popolo dell’Iraq, Afghanistan, Haiti, Colombia, Filippine e numerosi altri nel mondo. La brutalità ed i crimini del colonialismo Sionista e dell’imperialismo degli Stati Uniti non possono e non dovrebbero essere separati l’uno dall’altro da chi lotta contro quei crimini.Noi stiamo lottando per la giustizia e la liberazione contro l’enorme brutalità del progetto coloniale Sionista, testimoniata a Sabra e Shatila e a Deir Yassin; a Safsaf, Lydda, Tantura e Kufr Qasem; a Qibya, Qana, Jenin, Nablus, Rafah ed in tutta la Palestina occupata. Noi ci stiamo adoperando per assicurare che crimini come quelli di Sabra e Shatila e i crimini del 1948, e tutti quelli prima, dopo e durante, non colpiscano più la nostra gente e la nostra terra; e che tutti i rifugiati palestinesi ottengano il loro pieno, incondizionato e non negoziabile diritto al ritorno alle loro case e terre d’origine.Per ottenere la giustizia, la vittoria, la liberazione ed il ritorno, per noi è imperativo che l’unità nazionale del popolo palestinese, della sua leadership e delle sue istituzioni sia rafforzata e sviluppata. Noi abbiamo bisogno di un comando nazionale unificato, che coinvolga tutte le forze, le organizzazioni e le istituzioni Nazionali ed Islamiche di tutta la Palestina; e di rianimare la struttura dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – dentro e fuori la Palestina – su una base democratica che comporta la rappresentanza per ogni Palestinese.Noi guardiamo indietro con memoria ed orgoglio. Noi guardiamo avanti con costanza, sicurezza e impegno per resistere ai crimini Sionisti, per lottare per il ritorno di tutti i nostri rifugiati e per la liberazione della nostra terra.






Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – FPLP

sabato 18 luglio 2009

Shalit, Israele e l’ipocrisia

14 luglio 2009La settimana scorsa ha segnato il terzo anniversario di prigionia del soldato israeliano Gilad Shalit nella striscia di Gaza. Dopo l'incursione alla frontiera contro una postazione militare israeliana da parte di Hamas e di altre frange, i titoli sulla cattura di Shalit hanno iniziato a circolare sui media occidentali nel seguente modo: "Ultime Notizie: Rapito Soldato Isrealiano". Fin da subito i politici di tutto il mondo hanno chiesto il rilascio di Shalit, un'indicazione che conferma i legami politici fra Israele e le varie centrali di potere occidentali. Secondo le aspettative, nessun politico occidentale ha mai invocato o fatto pressione per il rilascio dei prigionieri palestinesi – mi sorprenderei se potessero indicarne anche solo uno. Ipocritamente, leader mondiali e cariche pubbliche lanciano petizioni per il rilascio di un prigioniero di guerra [Roma e Parigi hanno conferito a Gilad Shalit la cittadinanza onoraria, NdT], mentre Israele mantiene in carcere migliaia di palestinesi senza giusto processo. Questi atti di guerra non meritano i titoli della CNN, neppure uno. Invece per Shalit accade e questo è del tutto assurdo.Shalit, catturato in combattimento, è un prigioniero di guerra e non un civile. Era, ed è ancora, un soldato dell'esercito israeliano in servizio nelle truppe d'occupazione lungo "il confine di un’entità nemica", per usare le parole del governo israeliano che descrivono Gaza. In quanto combattente, era soggetto alla cattura in una situazione di conflitto, ma i politici non ricordano questi particolari quando chiedono il rilascio di Shalit. Tuttavia identificano subito molti prigionieri palestinesi come "terroristi", senza fare questioni.Mentre Hamas è accusato "di violazioni del diritto internazionale", Israele ha rapito e sequestrato migliaia di palestinesi, molti di loro detenuti per motivi sconosciuti e non dichiarati, neanche agli israeliani, nei termini della detenzione amministrativa. Centinaia di donne e di bambini sono detenuti senza prove. Secondo Adalah, il Centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele, ci sono 98 donne e 346 bambini nelle carceri israeliane, cifre di febbraio 2009. Ora non vorrei essere frainteso, e sono sicuro che alcuni prigionieri palestinesi hanno "le mani sporche di sangue" (come amano dire i politici israeliani). Questi prigionieri, una minoranza che colpisce gli israeliani, fanno parte dei gruppi politici che considerano queste loro tattiche come resistenza. Nei suoi 42 anni di occupazione, Israele ha accumulato prigionieri palestinesi come fossero mazzi di carte, mescolandoli dentro e fuori delle carceri. I palestinesi sono catturati in modo feroce, torturati, interrogati e costretti all’impedimento di una rappresentanza legale per anni ed alcuni persino per decenni.Il numero reale dei prigionieri palestinesi detenuti nelle celle israeliane è impossibile da calcolare anche se le stime indicano la cifra di 11.000, mentre i palestinesi detengono soltanto il celebre Shalit. Questi è uno, non cento e neppure mille, ma uno. Tuttavia non c’è partita, il mondo rimane cieco alla discrepanza nei numeri. I politici occidentali e israeliani astutamente voltano la faccia all’ipocrisia e simpatizzano soltanto con Shalit e mai con un palestinese. Sul sito web di Haaretz, il giornale "liberale" di Israele, c’è un orologio che conta i giorni di prigionia di Shalit, attualmente 1.109 giorni e continua il conteggio. Non si potrebbe mettere un timer per la prigionia dei palestinesi, perché ci sono troppe vite da contare.La campagna dei media occidentali per il rilascio di Shalit è innegabilmente unilaterale. Il padre, Noam Shalit, si è trasformato in figura pubblica per i propri diritti, supplicando i politici che contribuiscano a liberare suo figlio. Ha incontrato i vari illustri leader mondiali, simpatizzando con ognuno nella speranza di riprendersi Shalit. Diversamente da Noam Shalit, i padri palestinesi non hanno il lusso di poter viaggiare per l’Europa chiedendo ai politici di aiutare a liberare i loro figli e figlie perché esiste ancora un'occupazione militare. Quando i Palestinesi sono rapiti in piena notte, in occidente a mala pena si sente un bisbiglio dalle fonti di notizie. Occasionalmente, Haaretz da una breve notizia su un certo numero di palestinesi "ricercati" e imprigionati nel corso di un'incursione notturna, ma soltanto se la ritengono interessante. E naturalmente, di solito non lo fanno perché la maggior parte delle operazioni israeliane rimangono segrete.Vorrei vedere il giorno in cui tutti i prigionieri palestinesi e Gilad Shalit verranno liberati. I negoziatori palestinesi hanno ripetutamente consegnato ad Israele liste su liste dei prigionieri che vogliono liberi, e tutte le richieste sono state rifiutate. Sembra che governo di Israele non si preoccupi di Shalit, perché se realmente lo facesse, avrebbe immediatamente negoziato uno scambio di prigionieri nel 2006. Invece, l'esercito israeliano ha cominciato a seminare distruzione su Gaza con un’operazione militare concepita per "salvare" Shalit, che è fallita miseramente. Se vogliono che il processo vada avanti, i politici occidentali dovrebbero chiedere il rilascio di Shalit e delle migliaia di prigionieri palestinesi chiusi nelle carceri israeliane. Israele deve sedersi al tavolo delle trattative ed i politici occidentali devono spingerlo a questo. Altrimenti, Shalit non andrà da nessuna parte.

domenica 5 luglio 2009

La verità dietro la propaganda sulla "sovranità" dell'Iraq

Centinaia di migliaia di truppe USA resteranno collocate in dozzine di basi militari USA per tutto il paese
1 luglio 2009
"I media corporativi sono tutt in fibrillazione e danno una copertura a tappeto alla storia degli iracheni che "riottengono la loro sovranità" dal momento che le truppe USA vengono ritirate dalle città irachene. Questa naturalmente è propaganda livida ed infondata - centinaia di migliaia di truppe USA resteranno in Iraq collocate in dozzine di basi militari USA che sono state costruite per tutto il paese.
"Ad oggi in Iraq vi sono approssimativamente 130.000 militari USA. La maggior parte dei soldati USA che erano stati schierati nelle città irachene vengono fatti rientrare in guarnigioni altrove nel paese. L'aeronautica degli Stati Uniti controlla lo spazio aereo iracheno. La marina degli Stati Uniti controlla le acque territoriali dell'Iraq", osserva Cryptogon blog.
"Sovranità: No. Propaganda: Si".
Dopo la data del ritiro completo "ufficiale" del 2011, che l'ammiraglio Mike Mullen ha rivelato non essere nemmeno garantita, "Obama progetta di lasciare indietro una "forza residua" di decine di migliaia di truppe per continuare ad addestrare le forze di sicurezza irachene, catturare le cellule di terroristi stranieri e proteggere le istituzioni americane", ha riferito il New York Times lo scorso febbraio.
"Forza residua" è un eufemismo per "esercito di occupazione", dal momento che soltanto il più stupidamente ingenuo potrebbe mai credere che l'Iraq ora non sia nulla più che uno stato fantoccio sottomesso all'impero del nuovo ordine mondiale.
Un alto ufficiale lo ha spiegato più chiaramente per filo e per segno al Los Angeles Times: "Quando il presidente Obama ha dichiarato che saremmo andati "fuori" dall'Iraq entro 16 mesi, alcune persone hanno sentito "fuori", e ognuno se ne va. Ma questo non avverrà", ha affermato l'ufficiale.
Effettivamente, quando è stato fatto l'ultimo calcolo, quasi tre anni fa, i militari USA avevano già costruito in Iraq non meno di 55 basi militari pienamente funzionali, con il finanziamento pronto per costruirne molte di più.
Inoltre, le truppe USA non lasciano del tutto neppure le città. Rapporti confermano che i carri armati USA continueranno a pattugliare le aree al di fuori della "zona verde" e dell'aeroporto a Baghdad. Le vie delle città principali saranno ancora pattugliate da soldati iracheni addestrati dagli USA che prenderanno posto ai posti di blocco ovunque molestando la gente con la scusa di controllare i documenti. In aggiunta, se gli iracheni "richiedono aiuto" dalle truppe USA per intraprendere procedure di sicurezza, queste torneranno subito nelle strade proprio come prima.
Gli iracheni stessi non sono ingannati dalla farsa. Come ammette il New York Times, oggi le "celebrazioni" "sembrano una messa in scena". Secondo il rapporto, "Le auto della polizia sono state decorate con festoni con fiori di plastica e segnali che celebrano il "giorno dell'indipendenza" sono stati legati a muri e steccati antiurto attorno alla città. Lunedì notte, una celebrazione serale festiva al Parco Zahra con cantanti ed ospiti ha attirato principalmente giovani, molti di loro poliziotti fuori servizio".
"Non vi è nessun dubbio che questa non sia sovranità nazionale perché gli americani resteranno all'interno dell'Iraq in basi militari", ha affermato Najim Salim, 40 anni, insegnante di Bassora. "Ma il governo vuole convincere i cittadini che vi sia un ritiro delle truppe straniere, sebbene il governo non possa proteggere i cittadini in alcune città dell'Iraq neppure con la presenza delle forze USA".
Secondo il dizionario Websters, la "sovranità" viene definita come "libertà dal controllo esterno".
Chiunque creda che l'Iraq sia un paese sovrano ed abbia "libertà dal controllo esterno" o che lo otterrà mai mentre centinaia di migliaia di truppe USA sono stazionate in dozzine di basi per tutto il paese, probabilmente crede ancora che Saddam nascondesse armi di distruzione di massa.

sabato 27 giugno 2009

IL MURO DELLA VERGOGNA…



Cari amici,
mancano meno di due settimane al quinto anniversario della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sullo smantellamento del Muro. Il fatto che la costruzione del Muro continui, a cinque anni dalla sentenza, è la prova lampante dell’impunità che la comunità internazionale garantisce ad Israele.
In questo anniversario, facciamo appello ai sostenitori dei diritti dei Palestinesi in tutto il mondo affinché rinnovino i loro sforzi nella lotta contro il Muro dell’Apartheid.

Cinque anni fa, la Corte Internazionale di Giustizia sembrava aver rafforzato la nostra battaglia. Il 9 luglio 2004, la Corte sentenziò che

- la costruzione del Muro nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, è illegale e che Israele doveva cessarne la costruzione, smantellare le parti già costruite e risarcire i danni causati.
- nessuno Stato avrebbe dovuto fornire aiuto o assistenza al mantenimento del Muro ed al suo regime e tutti gli Stati aderenti alla IV Convenzione di Ginevra sono obbligati ad assicurare il rispetto da parte di Israele delle leggi umanitarie internazionali.

Nonostante la chiarezza di questa sentenza, né Israele, né la comunità internazionale hanno indicato che intendono rispettare i loro obblighi verso il Diritto Internazionale. Invece, il Muro è semplicemente scomparso dall’agenda della diplomazia internazionale, mentre continuano le distruzioni di cui è causa.
Nei primi quattro mesi di quest’anno, l’esercito israeliano ha già costruito più parti del Muro che nell’intero 2008. Come risultato di questo progetto, lo sbalorditivo numero di 266.422 Palestinesi che vivono in Cisgiordania sono circondati, isolati e con la prospettiva della deportazione.

Le Nazioni Unite non hanno fatto nulla per realizzare la decisione della Corte Internazionale di Giustizia e, con l’eccezione di pochi governi, gli Stati non hanno fatto pressione o attuato sanzioni verso Israele. L’imprenditoria internazionale continua a finanziare ed a fornire materiali sia per la costruzione del Muro che per le colonie.
Se l’amministrazione Obama e i governi europei fossero seri sulle loro posizioni sulle colonie, per prima cosa imporrebbero il rispetto della sentenza della Corte, che evidenzia l’illegalità del Muro, delle colonie e del regime che vi è associato. In questo modo, i leader politici potrebbero far rispettare il Diritto Internazionale e restituire ai popoli fiducia nella pace e nel futuro.

Lasciati soli a difendere i propri diritti e le norme del Diritto Internazionale, i comitati popolari hanno continuato le mobilitazioni con il sostegno dei difensori dei diritti umani di tutto il mondo. Hanno rallentato la costruzione del Muro e ottenuto restituzioni di terre, ma l’obiettivo finale di abbattere il Muro è ancora lontano. I villaggi palestinesi continuano a pagare un alto prezzo per la loro determinazione 16 persone, la metà delle quali bambini, sono già state uccise dalle forze israeliane nel corso delle proteste, mentre altre centinaia sono state ferite o arrestate.

Interi villaggi subiscono il coprifuoco e la chiusura dei cancelli del Muro come punizione collettiva.

giovedì 25 giugno 2009

A Istanbul i primi sforzi internazionali per ricostruire Gaza.



Istanbul – Infopal. L’Organizzazione araba per la ricostruzione di Gaza ha organizzato la prima Conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza, svoltasi mercoledì e giovedì nella città di Istanbul, in Turchia.
Alla Conferenza hanno partecipato circa 800 personalità provenienti da più di trenta paesi del mondo arabo, musulmano e europeo, tra cui rappresentanti di organizzazioni sindacali e associazioni benefiche, imprenditori e uomini d'affari.L’Organizzazione, fondata dopo l'aggressione sionista sulla Striscia di Gaza dall’ordine degli ingegneri giordani e da altri ordini di paesi arabi e internazionali, ha invitato a muoversi rapidamente su tutti i fronti per ridare vita alla città martoriata, sottolineando che la guerra ha distrutto le infrastrutture e i settori principali al servizio dei cittadini.
A tal proposito, sarebbero stati già individuati 450 progetti per la sanità, l’edilizia abitativa e l’istruzione, per un costo complessivo di circa mezzo miliardo di dollari.La conferenza ha inoltre annunciato il lancio di un’azione appoggiata da ordini ed associazioni di tutti i paesi del mondo. Wael as-Saqqa, presidente del Consiglio di amministrazione dell’Organizzazione, ha comunicato che il valore dell’azione sarà pari a 100 €, e che la sua sottoscrizione su scala internazionale aprirà la strada a molte persone perché contribuiscano alla ricostruzione. Per i partecipanti musulmani alla conferenza di fede musulmana è stata ricordata la fatwa (un parere ufficiale emanato da un’autorità religiosa musulmana, ndr) del presidente dell’Unione internazionale dei sapienti musulmani, il dott. Yusuf al-Qaradawi, nella quale si afferma che tale contributo va considerato parte “della zakat (la donazione di beneficenza richiesta dai principi dell’Islam, ndr) obbligatoria per tutti i musulmani”.Secondo quanto dichiarato nella fatwa, “se la ummah musulmana si è divisa sulla questione dei fratelli di Gaza, se non è stata in grado di aiutare a respingere l’aggressione o fermarla, come avrebbe richiesto il dovere religioso, e se, com’è accaduto molte volte, non è stata in grado di far arrivare gli aiuti, come cibo, vestiti e medicine, allora il minimo che può fare è ricostruire quanto è stato distrutto: case, scuole, ospedali, impianti idrici e per l’elettricità, strade e infrastrutture; questo soprattutto se il nemico tenta di ottenere, facendosi carico della ricostruzione, ciò che non ha ottenuto con la sua brutale aggressione ai danni del nostro popolo”.La linea espressa dalla fatwa prevede che tutti i musulmani dovrebbero contribuire alla causa, in quanto “imposto dalla zakat, dal momento che la popolazione di Gaza, che vive in povertà, ne ha pieno diritto”. Il presidente as-Saqqa, nel corso della Conferenza, ha inoltre annunciato l'apertura di alcune sedi regionali dell’Organizzazione per la ricostruzione, ad esempio in Giordania e in Turchia, e la prossima estensione della rete ad altri paesi arabi ed islamici. L’Organizzazione è stata inoltre registrata ufficialmente in Gran Bretagna e Turchia. Da parte sua, lo stato turco ha promesso di destinare 350 milioni di euro a Gaza.

IL CARCERE 1931...



L’organismo per il controllo della tortura delle Nazioni Unite ha criticato Israele per non aver permesso l’ispezione di una prigione segreta chiamata dai critici "la baia di Guantanamo israeliana" e ha chiesto di sapere se attualmente siano operativi altri campi di prigionia di questo tipo.In un rapporto pubblicato di recente, il Comitato Internazionale Contro la Tortura ha chiesto che Israele renda nota l’esatta ubicazione del campo di prigionia, ufficialmente definito "Facility 1391" e permetta l’accesso allo stesso comitato.Accertamenti da parte dei gruppi per i diritti umani israeliani mostrano che questa prigione era stata utilizzata nel passato per incarcerare prigionieri arabi e mussulmani, compresi i palestinesi, e che i maltrattamenti e le torture sarebbero state praticate abitualmente durante gli interrogatori.La commissione del Comitato delle Nazioni Unite formata da dieci esperti indipendenti ha inoltre trovato credibile le tesi dei gruppi israeliani, i quali affermano che i detenuti palestinesi sono sistematicamente torturati nonostante la sentenza del Tribunale Supremo Israeliano del 1999 che proibisce questa pratica.L’esistenza del carcere 1931 è venuta alla luce nel 2002, quando per la prima volta vi vennero incarcerati Palestinesi durante una nuova invasione della Cisgiordania da parte di Israele.In una rapporto al Comitato delle Nazioni Unite Israele ha negato che attualmente ci siano ancora dei prigionieri nel carcere 1931, anche se ha ammesso che vi siano stati detenuti numerosi prigionieri libanesi in occasione dell’attacco contro il Libano nel 2006.Il Comitato ha espresso la sua preoccupazione per una sentenza del Tribunale Supremo Israeliano del 2005 che trovava "ragionevole" che lo stato non investigasse sulle sospette torture in quel carcere. Si può supporre che il comitato sia preoccupato che, senza ispezioni, la prigione sia ancora in uso oppure possa riaprire con breve preavviso.La corte israeliana - scrive il comitato - "dovrebbe garantire che tutte le accuse di maltrattamenti e torture da parte dei detenuti del carcere 1931 siano investigate in modo imparziale e i risultati resi pubblici".Hamoked, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, è stata la prima a identificare la prigione dopo che nel 2002 i familiari di due cugini palestinesi detenuti a Nablus ne persero le tracce. I funzionari israeliani finalmente ammisero che i due erano detenuti in un luogo segreto.Israele continua a non voler comunicare l’esatta ubicazione della prigione, che si trova nel territorio a 100 km a nord di Gerusalemme. Solo pochi edifici sono visibili, perché la maggior parte della prigione è sotterranea."Abbiamo saputo dell'esistenza della prigione solo perché l’esercito ha commesso l’errore di rinchiudervi Palestinesi in quanto nelle principali prigioni israeliane non c’era più spazio", ha detto Dalia Kerstein la direttrice di Hamoked."L’autentico scopo del campo di prigionia è quello di potervi interrogare i prigionieri del mondo arabo e mussulmano, che sarebbe difficile scoprire, in quanto è assai improbabile che i loro familiari possano contattare le organizzazioni israeliane per poter essere aiutati".La signora Kerstein ha detto che questa prigione rappresenta una violazione del diritto internazionale ancora più grave del campo di prigionia di Guantanamo, in quanto non è stata mai ispezionata e nessuno sapeva quello che stava succedendo lì dentro.I due cugini palestinesi, Mohammed e Bashar Jaddallah, hanno testimoniato che sono stati reclusi in celle di isolamento di due metri quadrati, con le pareti verniciate di nero, senza finestre e con una lampadina tenuta accesa 24 ore al giorno. Nelle rare occasioni in cui sono stati scortati all'esterno, dovevano portare occhiali oscuranti.Quando Bashar Yaddalla, cinquantenne, chiese dove si trovava, gli risposero che era "sulla luna". Mohammed Yaddallah, di 23 anni, ha testimoniato che è stato ripetutamente picchiato, ammanettato strettamente, legato ad una sedia in una posizione dolorosa , non gli è stato permesso di andare in bagno, gli è stato impedito di dormire e ogni volta che cedeva al sonno veniva svegliato con secchiate d’acqua. E' stato inoltre riferito che coloro che lo interrogavano gli hanno mostrato le foto dei suoi familiari e minacciato di far loro del male.Benchè i Palestinesi detenuti in quel carcere siano stati interrogati dai servizi segreti interni israeliani, lo Shin Bet, gli stranieri furono posti sotto la responsabilità di un’ala speciale dell’intelligence militare conosciuta come Unità 504, i cui metodi di interrogatorio si crede siano molto più duri.Poco dopo che si sapesse della prigione, un ex-detenuto libanese, Mustafa Dirani, un leader del gruppo sciita di Amal, aveva presentato una denuncia in Israele affermando di aver subito violenza sessuale da parte di un secondino.Dirani, sequestrato in Libano nel 1994, è stato detenuto per otto anni assieme ad un dirigente di Hezbollah, Sheid Abdel Karim Obeid. Israele sperava di estorcere ai due informazioni concernenti un pilota dell’aviazione disperso, di nome Ron Arar, il cui aereo era precipitato in Libano nel 1986.Dirani asserì in tribunale che uno degli inquisitore di alto grado dell'esercito israeliano, conosciuto come "maggiore George", lo sottopose ad abusi fisici, in uno dei quali venne sodomizzato con un bastone.Il caso venne lasciato cadere all'inizio del 2004, quando Dirani è stato rilasciato in uno scambio di prigionieri.La signora Kerstein ha detto che non ci sono prove certe dell’esistenza in Israele di altre prigioni come il carcere 1391, anche se alcune delle testimonianze raccolte da diversi ex prigionieri sembrerebbero suggerire che questi siano stati reclusi in differenti posti segreti.La signora Kerstein ha espresso la preoccupazione che Israele possa essere stato uno dei paesi destinatari dei voli con "consegne straordinarie", nei quali prigionieri catturati dagli Stati Uniti sono stati trasferiti illegalmente in altri paesi per poi essere sottoposti a tortura."Se una democrazia permette l’esistenza di un carcere di questo tipo, chi può permettersi di dire che non ce ne siano degli altri?", ha detto.Il Comitato delle Nazioni Unite ha esaminato altri sospetti di tortura sempre riguardanti Israele, e ha espresso una particolare preoccupazione davanti al fatto che Israele avesse mancato di investigare più di 600 denunce fatte dai detenuti contro lo Shin Bet, a partire dalle ultime udienze della Commissione, nel 2001.Ha inoltre evidenziato le pressioni fatte sugli abitanti di Gaza che necessitavano di entrare in Israele per trattamenti medici, al fine di farli diventare degli informatori.Ishai Menuchin , direttore esecutivo del Comitato Pubblico Israeliano contro la Tortura , ha detto che il suo gruppo ha inviato al Comitato delle Nazioni Unite numerosi rapporti, che mostravano l’utilizzo sistematico della tortura contro i detenuti."Dopo la sentenza del Tribunale Supremo Israeliano del 1999 [che vietava l'uso della tortura], coloro che conducono gli interrogatorii hanno semplicemente imparato ad essere più 'creativi' nelle loro tecniche".Ha aggiunto che da quando Israele ha definito Gaza un "Stato nemico", alcuni palestinesi sequestrati a Gaza cono stati detenuti in qualità di "combattenti illegali", invece che come "detenuti per motivi di sicurezza"."In tali circostanze, potrebbero avere la qualifica per essere detenuti in prigioni segrete come il carcere 1391".


martedì 23 giugno 2009

"SCONVOLTO"



“Sconvolto” è la parola che senti pronunciare dalle persone (poche) che hanno avuto modo di entrare recentemente nella striscia di Gaza. Entrare e vedere con i propri occhi come vivono i palestinesi in quel piccolo fazzoletto di terra.
“Sono sconvolto”: l’ha detto anche l’ex presidente americano Jimmy Carter, che in questi giorni si è recato a Gaza. La visita è durata un giorno appena ma è stata sufficiente per avere un’idea della distruzione e delle devastazioni provocate dall’offensiva israeliana “Piombo fuso” nel dicembre 2008.
Ha usato anche altri termini, più duri: “ho difficoltà a trattenere le lacrime”; “ho visto le deliberate distruzioni”; “1,5 milioni di palestinesi qui a Gaza trattati come animali”
Carter ha avuto modo di verificare che la ricostruzione a Gaza non c’è stata per il semplice motivo che esiste e persiste un blocco (illegale) di Israele che impedisce il transito a qualsiasi cosa, dall’acciaio al cemento, fino ai giocattoli e alle matite colorate per bambini!
A fine giornata l’ex presidente degli Stati Uniti ha inoltre avuto modo di incontrare Ismail Haniyeh, leader di Hamas. A fine incontro Carter ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Hamas vuole la pace”.Non mi risulta che Carter sia un filo-terrorista!

domenica 21 giugno 2009

Due anni di chiusura di Gaza nei numeri

>Giugno 2007 – giugno 2009 una frontiera chiusa. La limitazione degli approvvigionamenti

- Quantità di beni a cui è consentito l'ingresso a Gaza, in base alla domanda: 25% (approssimativamente 2.500 tir al mese contro i 10.400 precedenti al giugno 2007)

- Forniture di gasolio a cui è consentito l'ingresso a Gaza, in relazione al fabbisogno: 65% (2,2 milioni di litri alla settimana contro i 3,5 necessari per produrre elettricità)

- Durata media dell'interruzione nell'erogazione di energia elettrica a Gaza: 5 ore al giorno

- Numero delle persone senza accesso all'acqua corrente a Gaza: 28.000

Confronti e comparazioni

- Numero delle voci dei beni alimentari di cui la risoluzione del Governo israeliano ha promesso l'ingresso a Gaza: illimitato
- Numero delle voci dei beni alimentari che attualmente hanno il permesso di entrare a Gaza: 18

- Ammontare della somma di denaro promesso per gli aiuti alla ricostruzione dalla Conferenza dei Donatori nel marzo 2009: 4,5 miliardi di dollari
- Quantità di materiali per l'edilizia autorizzati ad entrare a Gaza: Zero

- Tasso di disoccupazione a Gaza nel 2007, anno in cui è stata imposto il blocco: 30%
- Tasso di disoccupazione a Gaza nel 2008: 40%

Niente sviluppo, niente prosperità, solo i beni "umanitari minimi" sono autorizzati all'ingresso

- L'esercito israeliano consente l'ingresso della margarina in piccole confezioni singole ma non quello della margarina stoccata in grandi contenitori perchè potrebbe essere usata per l'industria (per esempio dalle aziende alimentari, producendo così posti di lavoro)

- Il Governo israeliano ha chiarito l'interpretazione restrittiva al provvedimento del 22 marzo 2009, il quale autorizzava l'ingresso senza limitazioni di rifornimenti alimentari all'interno di Gaza e che il governo "non intende rimuovere le restrizioni imposte precedentemente all'entrata di cibo e rifornimenti in Gaza". Traduzione: le forniture alimentari continuano ad essere limitate.

- Tra prodotti alimentari il cui ingresso a Gaza è vietato figurano: Halva (dolce a base di pasta di semola), te e succhi di frutta.

- Tra beni non alimentari il cui ingresso a Gaza è vietato figurano: palloni da calcio, chitarre, carta, inchiostro.

Un popolo in trappola

- Numero di giorni in cui il valico di Rafah è stato aperto per un traffico regolare: Zero

- Numero di persone ogni mese non in grado di attraversare Rafah: 39.000

- Criterio per il passaggio al valico di Erez: casi umanitari eccezionali

mercoledì 17 giugno 2009

Centro per i diritti umani di Gaza: ecco i numeri della guerra d'Israele.

16 giugno 2009Gaza. Il Centro al-Mizan per i diritti umani, in una relazione sulle perdite e sui danni subiti dalla popolazione della Striscia di Gaza durante l’ultima guerra israeliana, ha illustrato i crimini commessi dall'esercito di occupazione nel periodo dal 27 dicembre 2008 fino all'alba del 18 gennaio 2009.Nel rapporto, diffuso ieri e intitolato "L’aggressione in cifre", sono pubblicati i numeri delle vittime e dei danni arrecati alle persone e alle proprietà.Le persone morte durante la guerra o in seguito alle ferite riportate sono 1.410: 355 al di sotto dei diciotto anni d’età, 110 donne e 240 combattenti della Resistenza.11.135 case private, 581 edifici pubblici, 209 impianti industriali, 724 imprese commerciali e 650 veicoli risultano distrutti dai bombardamenti e dalle operazioni dell’esercito sionista, mentre la superficie di terre agricole danneggiate raggiunge i 627.175 ettari.A conclusione della relazione vengono citate le indagini effettuate da al-Mizan e da varie istituzioni nazionali e internazionali, che dimostrano come sia stato commesso un gran numero di gravi e sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario, altrimenti definibili come crimini di guerra contro l'umanità, in base a quanto è scritto nella Carta del Tribunale internazionale e nella IV Convenzione di Ginevra.Il centro specifica che "tra questi crimini sono inclusi il bombardamento di case con civili al loro interno, le sparatorie contro civili che sventolavano bandiere bianche, l'uso indiscriminato della forza distruttiva delle armi nelle zone civili, il bersagliamento di civili senza distinzione, l'uso dei civili come scudi umani, il bersagliamento del personale medico, l’ostacolamento delle ambulanze e il bersagliamento delle sedi e dei dipendenti delle Nazioni Unite".Il rapporto riferisce inoltre che a tali crimini bisogna aggiungere le pratiche delle forze di occupazione ai danni della popolazione locale, come ad esempio le punizioni collettive, la distruzione della rete dell’acqua e delle linee elettriche, l’interruzione e la devastazione delle strade che collegano le province della Striscia di Gaza (un gesto gravissimo in quanto comporta problemi nei rifornimenti di cibo e medicine, che si sommano a quelli provocati dall’assedio) e la sofferenza psicologica causata dalle aggressioni massicce contro le zone residenziali.Tutto questo, secondo al-Mizan, ha fatto sì che, per l’intera durata del conflitto, non esistesse nemmeno un posto in tutta la regione che permettesse ai civili di restare al sicuro.

martedì 16 giugno 2009

Farsi prendere per i fondelli da Netanyahu


15 giugno 2009Nel mezzo del casino iraniano ci mancavano i giochini di Netanyahu, infilatosi nei titoli di giornale con pseudoproposte di pace in Medio Oriente messe giù all’unico scopo di prendere per il naso le distratte opinioni pubbliche occidentali e costringere i palestinesi a dire l’ennesimo, inevitabile "no" che gli servirà da scusa per sferrare l’ennesimo, prevedibile, attacco.I preparativi di alibi di Netanyahu appaiono più grossolani del solito, stavolta: in pratica, il Nostro propone ai palestinesi di farsi uno Stato con questa roba qua (cliccare qui per ingrandirla come si deve, in tutta la sua tragica ironia):


In questo arcipelago di giardinetti interrotti ogni cento metri dal territorio israeliano, i palestinesi avrebbero il diritto di tenere una bandiera e cantare un inno, e basta. Per il resto, dice che non avrebbero il controllo dello spazio aereo, come se avessero il controllo di quello di terra, dell’acqua o di quant’altro. Le colonie illegalmente costruite nelle zone migliori del territorio palestinese continuerebbero ad esistere e con i coloni "fratelli e sorelle", secondo quel delinquente, lo Stato israeliano manterrebbe "la massima concordia", qualunque cosa ciò significhi.
La frase geniale, poi, è questa qua: ""Gerusalemme dovrà rimanere capitale indivisibile dello Stato ebraico". "Rimanere"? Ma davvero? Ma da quando Gerusalemme è capitale di Israele, scusate? La dichiarazione di Gerusalemme capitale è una violazione del diritto internazionale (ris. 478/80 del Consiglio di sicurezza dell’ONU) e non c’è paese che la riconosca. E invece, secondo Netanyahu, i palestinesi - giusto loro, quando non lo fa manco l’Unione Europea - dovrebbero accettare che essa "rimanga" tale. Tu pensa che faccia di tolla.
E poi la pretesa che l’ANP "riporti l’ordine a Gaza" contro i governanti a suo tempo democraticamente eletti, roba che manco Ahmadinejad.E lo sprezzante appellativo di "Hamastan", e la chiusura ai profughi in quanto "non ebrei" e così via.
Mi pare difficile dare torto a chi lo ha definito un discorso "razzista". Se questo non è razzismo, che dire: spiegatemi cos’è il razzismo secondo voi, grazie.
Rimane da capire quale sia il vero obiettivo di Netanyahu, dopo questa occupazione di prime pagine dei giornali a mo’ di lupo travestito da nonna di Cappuccetto Rosso.Vorrà divorarsi qualcosa d’altro, come dicevo prima, approfittando dell’allarme generale sull’Iran: non vedo altre spiegazioni.

lunedì 15 giugno 2009

Le elezioni libanesi: una prima analisi

9 giugno 2009

Le elezioni del 2009 si sono concluse con messaggi molteplici e contraddittori, ma mai sorprendenti per il Libano. Tuttavia, forse la cosa più importante è che si è trattato di una consultazione caratterizzata da una vera partecipazione e da una leale competizione in molti collegi elettorali. Un esito rinfrancante, se si pensa che le elezioni nella regione sono solitamente manifestazioni plebiscitarie messe in scena dai despoti al potere.
Queste elezioni saranno ricordate per le previsioni sbagliate che le hanno caratterizzate. Una previsione palesemente fuori bersaglio, espressa con convinzione proprio dalle pagine di questo giornale la scorsa settimana, è stata quella secondo cui molti elettori cristiani confusi avrebbero rimescolato le carte fra le diverse liste dei loro candidati. E’ accaduto esattamente il contrario, visto che i blocchi elettorali, ed anche gli indipendenti – nient’affatto confusi – hanno espresso il loro voto alle urne in maniera relativamente inalterata. Ciò ha dimostrato che il potere dei leader e dei partiti politici di portare alle urne obbedienti blocchi di elettori è stato più saldo che mai; che i cristiani indipendenti hanno in gran parte votato sulla base delle loro convinzioni, in questo caso contro Michel Aoun e contro Hezbollah; e che il Libano rimane diviso tra due ampie coalizioni, cosicché le elezioni, pur rivelando un fondamentale allontanamento dalle scelte dell’opposizione, hanno cambiato poco negli equilibri di forza complessivi del paese.
Le elezioni hanno espresso una convincente vittoria della coalizione del 14 Marzo, dimostrando che essa potrebbe ottenere una netta maggioranza senza dipendere dai cosiddetti indipendenti; e ciò, anche tenuto conto di una legge elettorale che favorisce l’opposizione. Saad Hariri sarà il prossimo primo ministro, ponendo fine alle speculazioni su quando egli avrebbe potuto assumere l’incarico. Egli ha un mandato, ed ha agito astutamente nel periodo pre-elettorale, camminando in punta di piedi attraverso vari "campi minati" per soddisfare i propri partner. Egli è anche riuscito a cooptare i suoi potenziali rivali sunniti, consolidando la sua "presa" sulla comunità dopo un periodo in cui la sua leadership era stata messa in dubbio. Ciò non soltanto promuoverà le credenziali di Hariri in Arabia Saudita e nel mondo arabo, ma indica anche che egli è finalmente riuscito a mettersi alle spalle la debacle del maggio 2008 .
I principali alleati di Hariri, Samir Geagea e Walid Jumblatt, hanno avuto letture del tutto differenti dei risultati. Geagea ha rischiato in alcune regioni, ma alla fine ha ampliato la propria base di rappresentatività, fra membri del partito e candidati esterni da lui appoggiati. Egli rimane tuttora nettamente dietro il generale Michel Aoun in termini di quote parlamentari, ma ha condotto una campagna ben organizzata, aumentando relativamente il suo peso politico e dimostrando di essere un attore di rilievo in circoscrizioni chiave come Zahleh e Beirut. Geagea ha lavorato soprattutto in vista delle elezioni del 2013 ed in preparazione del periodo post-Aoun, visto che il generale sarà quasi ottantenne fra quattro anni. In questo senso, il leader delle Forze Libanesi ha raggiunto gran parte dei suoi obiettivi.
Jumblatt, prevedibilmente, ha avuto buoni risultati nei distretti di Chouf e Aley, ma ha subito due importanti sconfitte sotto il profilo della sua strategia generale. Egli ha perso il parlamentare druso Ayman Choukair nella circoscrizione di Baabda, facendo arretrare il proprio blocco a vantaggio di un’alleanza di maroniti e sciiti, e lasciando ipotizzare che essi potrebbero scegliere il rappresentante druso in quel distretto in futuro. Come se non bastasse, egli aveva contato molto sulla sua apertura nei confronti degli sciiti e sulla sua alleanza con il presidente del parlamento Nabih Berri per aiutare Choukair a vincere. Questa bizzarra idea è crollata visto che la comunità sciita ha votato in massa a favore di Aoun. Ciò ha messo in evidenza i veri limiti del riavvicinamento di Jumblatt nei confronti di Berri, che entrambi vedevano come l’embrione di un blocco centrista più amichevole nei confronti della Siria.
Michel Aoun ancora una volta ha gestito un paradosso. Egli è emerso dalle elezioni più forte, ma accompagnato da segnali che indicano che l’appoggio popolare dei cristiani nei suoi confronti è in sensibile declino. Aoun controllerà il blocco cristiano più ampio in parlamento, e ciò gli servirà per rinsaldare il suo potere contrattuale, continuando a insistere sul fatto che egli è il rappresentante maronita di maggior spicco, in particolar modo nel suo rapporto con Saad Hariri e con la comunità sunnita. Tuttavia, i margini della sua vittoria sono notevolmente inferiori rispetto al 2005; egli ha avuto bisogno del voto sciita per vincere in molti distretti a maggioranza cristiana; e un gran numero di cristiani ha dichiaratamente votato contro di lui, dimostrando che egli continua a non avere alcuna capacità di unire la propria comunità.
Hezbollah non può essere dispiaciuto dei risultati. Si è pur sempre trattato di una situazione da cui il partito sciita aveva comunque da guadagnare. La maggioranza ottenuta dalla coalizione del 14 Marzo è più o meno la stessa di quattro anni fa, e con Hariri come primo ministro, Hezbollah pensa di poter porre un volto sunnita credibile a difesa della sua "resistenza" armata. Il partito ritiene anche, a torto o a ragione, di aver un maggior potere negoziale nei confronti di Hariri se egli è al governo. Hezbollah aveva puntato molto su Aoun e questa scommessa alla fine ha pagato, nella misura in cui Aoun è debitore nei confronti del partito. Egli dirà di aver vinto Nabih Berri a Jezzine, Walid Jumblatt a Baabda, ed il presidente Michel Suleiman a Jbeil, pur senza ammettere apertamente che tutto ciò è avvenuto grazie a Hezbollah.
Cosa ancor più significativa, i risultati elettorali sono stati una sconfitta per la Siria. Essi hanno permesso a Hezbollah di mantenere la propria autonomia dai siriani, i quali avevano sperato di usare le elezioni per riaffermarsi in Libano rispetto all’Iran. Sebbene nessuno dovrebbe seriamente aspettarsi una spaccatura fra Iran e Siria nel prossimo futuro, ai siriani sarebbe piaciuto molto confermare che il Libano appartiene più a loro che a Teheran, soprattutto nel contesto dei loro possibili negoziati con Israele e di un’apertura nei confronti degli Stati Uniti. Questo piano è fallito, e coloro nei quali i siriani avevano riposto le loro speranze – Michel Suleiman, Nabih Berri, Michel Murr e quelli della loro cerchia – sono emersi tutti come i grandi perdenti di queste elezioni. Il nuovo parlamento libanese sarà più amichevole nei confronti della Siria rispetto a quello precedente, ma non sarà in alcun modo il parlamento della Siria. Ironia delle ironie, il regime di Assad dovrà ora guardare a Saad Hariri, non a Suleiman, come al mezzo che può veicolare la normalizzazione dei loro rapporti con il Libano – una normalizzazione che i sauditi certamente incoraggeranno – cosa che dovrebbe dare a Hariri maggiore influenza nel plasmare questo rapporto.
Cosa accadrà ora? Vi è un consenso diffuso all’interno della coalizione del 14 Marzo secondo cui all’opposizione non dovrebbe essere concesso il diritto di veto nel prossimo governo, e il presidente Michel Suleiman, punto sul vivo dalla sfida di Aoun e da ciò che gli ha fatto Hezbollah, potrebbe schierarsi dalla parte della maggioranza a questo proposito. Questa è una buona cosa. Ci attendono settimane di contrattazione per il nuovo governo, ma vi è un messaggio duraturo in queste elezioni: la coalizione del 14 Marzo è stata liquidata troppo presto da troppe persone. Essa potrà non essere la più impressionante delle coalizioni, ma rappresenta il vero centro moderato del Libano – con la sua forza vitale che non è né la resistenza perpetua né il perpetuo risentimento. Il Libano trae beneficio dalla sua vittoria.

TERRA PROMESSA.......

"Arrivò una famiglia e disse: Abbiamo le cartedimostrano che la casa e' nostra.- No, no, disse il vecchio. Il mio popolo ha sempre vissuto qui,Mio padre, mio nonno ... e guarda in giardino:un mio avo lo piantò.- No, no, disse la famiglia, guarda i documenti.Ve ne era una catasta.- Da dove comincio? disse l'uomo- Non c'e' bisogno di leggere l'inizio, gli dissero,Vai alla pagina su cui e' scritto "Terra Promessa".- Ma sono legali?, disse l'uomo. Chi li ha scritti?- Dio, dissero loro. Li ha scritti Dio. Guarda!Stanno arrivando i Suoi carri armati".